Analizzare un film significa anche inserirlo in un contesto, in una storia. Ogni film - al pari di un romanzo, di un’opera pittorica o teatrale – si inserisce in correnti, tendenze, movimenti socio-culturali oppure vi si ispira a posteriori. Il cinema moderno di Godard o Wenders, per citarne alcuni, è un cinema di cinofili che inseriscono continuamente porzioni di “storia del cinema” nei loro film, attraverso citazioni e parodie; ma anche i cineasti della Hollywood classica conoscevano molto bene i loro predecessori (e rendevano spesso omaggio al cinema russo degli anni ’20, al cinema espressionista ecc.).Quando ci si appresta ad analizzare un film, bisogna tenere presente che un film non può essere isolato dal contesto: esso appartiene all’epoca in cui è stato realizzato; fa parte di un movimento; si rifà ad una tradizione. Tracciamo ora a grandi linee la storia dei diversi movimenti e delle diverse tradizioni:
1) Il cinema delle origini e la non continuità: alle origini del cinema vi erano brevi film (chiamati “vedute”) di una sola inquadratura, come i film dei fratelli Limière. Successivamente, fino al 1908, vennero realizzati film caratterizzati dalla “non-continuità”: secondo Noel Burch, sono 3 gli elementi di non-continuità del cinema primitivo:
- Non-omogeneità: i film sono costituiti da “quadri”, separati da grandi ellissi narrative; gli ambienti reali e quelli dipinti si susseguono con grande naturalezza, e la recitazione degli attori varia da un quadro all’altro (dal “quotidiano” all’estremamente “teatrale”). Infine, vi è una sovrabbondanza di “falsi raccordi”.
- Non-chiusura: le copie venivano vendute e non noleggiate. Perciò gli acquirenti potevano cambiare a loro piacimento la disposizione delle scene, tagliando i film o aggiungendo delle parti. Alcuni film delle origini, oggi, si presentano in modo anche molto differente.
- Non-linearità: nei film delle origini si verificavano spesso accavallamenti temporali tra una scena e l’altra o tra due inquadrature (falso raccordo temporale).
Molti studiosi attribuiscono questa discontinuità narrativa al fatto che i modelli dei cineasti del tempo non erano il romanzo del XIX° secolo o il teatro classico, bensì il vaudeville, il fumetto, la lanterna magica, il circo ed il teatro popolare.
2) Messa a punto della continuità narrativa: si attribuisce a Griffith il merito di aver dato continuità narrativa al cinema attraverso il “racconto cinematografico” che, a partire dal 1915, diverrà il modello per tutto il cinema classico hollywoodiano. L’esempio di Griffith è stato importante, ma non lo si può separare dal contesto: cioè quello dei nuovi criteri produttivi e realizzativi degli studios hollywoodiani: divisione del lavoro, distribuzione dei compiti, regole per la realizzazione di un film; la continuità narrativa si andrà elaborando in questo contesto sulla base di alcuni principi:
- Omogeneizzazione del visivo (scene ed illuminazione), del narrativo (recitazione, sceneggiatura, didascalie) e successivamente dell’audiovisivo (sincronismo dell’immagine e dei suoni – parole, rumori, musica).
- Regole dei raccordi: nasce il raccordo sul movimento, il raccordo di sguardo, il raccordo sul suono; in seguito si elaborarono la “voce off ”, i dialoghi, la musica ecc. che contribuirono a rendere lineare il racconto cinematografico. Tutti questi mezzi avevano lo scopo di far dimenticare allo spettatore il carattere fortemente discontinuo del film generato dal montaggio di pezzi di pellicola attaccati l’uno all’altro.
- Montaggio: certe forme di montaggio hanno strutturato il cinema classico hollywoodiano. Il “montaggio alternato” (introdotto da Griffith), che permette di mostrare alternativamente due o più eventi che si svolgono simultaneamente; “l’inserto”, inquadratura in dettaglio o in primissimo piano per offrire allo spettatore informazioni importanti.
3) La narrazione filmica “classica”: si ispira alle forme del romanzo Ottocentesco. Così il cinema si distacca dalla sua derivazione teatrale per concentrarsi sulle dinamiche narrative ereditate dal romanzo. La M.d.P. inizia a divenire più partecipe: si alternano punti di vista, nascono le soggettive, viene elaborata una scala di campi e di piani; tutte le tecniche messe in atto, però, mireranno sempre alla linearità, alla chiarezza espositiva ed alla coerenza. Dominano la “scena” e la “sequenza”, unite da nuove forme di “punteggiatura” ereditate dagli effetti illusionistici di Méliès: dissolvenze, iris, tendine. Il racconto è generalmente incentrato su un personaggio principale, o su una coppia (lo star system ha rafforzato questa tendenza). La nascita dei grandi generi cinematografici contribuì all’omogeneizzazione dei racconti cinematografici: ogni genere comportava precise caratteristiche sul piano dei contenuti (tipo di personaggio, di intreccio, di scena) e su quello della forma (illuminazione, inquadrature, musiche, recitazione). Il termine trasparenza veniva utilizzato per definire questi film, in cui tutto sembra svolgersi senza intoppi, senza interruzioni, in perfetta continuità. Eppure, anche il cinema classico ha prodotto film più complessi e meno “trasparenti”: si pensi a Quarto potere di Welles, Alba tragica di Carné o Viale del tramonto di Wilder.
4) Il cinema sovietico degli anni ‘20: se a partire dal 1914 il modella americano sembra imporsi, allo stesso tempo vi sono alcune significative resistenze che si sviluppano soprattutto in Europa. E’ il caso del cinema sovietico: dopo la rivoluzione d’ottobre (1917), lo Stato sovietico si interessa al cinema come mezzo di propaganda e di formazione. I cineasti rifiutano il modello hollywoodiano e sviluppano una propria “forma cinematografica”, mirata alla descrizione della realtà sovietica del tempo. Tuttavia, come avevano ben capito Kulesov e Pudovkin, Ejzenstejn e Vertov, la realtà non può essere filmata e basta: essa deve essere rielaborata, interpretata e spiegata attraverso il montaggio. Il montaggio svolgeva due funzioni essenziali:
- funzione di “patetizzazione”: tende ad amplificare gli eventi (montaggio accelerato, rallentato, conflittuale ecc.)
- funzione di argomentazione: esprimere idee e valori, concetti e metafore, grazie al montaggio parallelo (i buoi scannati al macello e gli operai in fabbrica; la rivolta degli operai ed un fiume in disgelo); la comparazione visiva (Il pavone meccanico simbolo del pavoneggiarsi di Karenskij), le didascalie che ironizzano sugli eventi.
I film sovietici degli anni ’20 rompono quella linearità e quella trasparenza del cinema hollywoodiano; si hanno così film frammentari ed astratti, con contenuti fortemente simbolici. Le azioni non hanno tempi precisi (come la scena della “Scalinata di Odessa”), e gli ambienti non sono facilmente ricostruibili. Ciò che interessava ai cosiddetti formalisti russi era la “produzione del senso”: ed il montaggio veniva proprio visto come il meccanismo per produrre il senso.
5) Le avanguardie francesi: impressionismo, dadaismo, surrealismo: anche i cineasti francesi si opposero al dominio americano. Si cercò di promuovere un cinema nazionale capace di liberarsi dai modelli del romanzo e del teatro: l’obiettivo è quello di liberare il cinema dall’obbligo di raccontare storie, trasformandolo in un’arte capace di basarsi solamente sulle proprie ricchezze formali. Si venne così definendo il cinema puro. Se il sogni di liberarsi dalla necessità di raccontare storie rimarrà solamente tale, i cineasti del tempo non rinunciarono mai alle ricchezze formali: ogni possibile risorsa filmica venne utilizzata e riproposta; montaggio accelerato, rallenty, sovrimpressioni, immagini al negativo, immagini sfuocate ecc. Le ricerche plastiche condotte dei pittori influenzarono anche il cinema, ma va detto che il surrealismo si stringe attorno a due soli titoli: Un chien andalou e L’age d’or di Bunuel e Dalì. Ad ogni modo, questi due film gettarono le basi per un tipo di narrazione che non obbediva più alle logiche del racconto classico, e che avevano nella discontinuità, l’onirismo, le immagini mentali, la confusione e le visioni la loro ragione di esistere.
6) L’Espressionismo tedesco: il cinema espressionista tedesco rientra in un movimento molto ampio che comprende tutte le arti, e che si può collocare fra il 1907 ed il 1926. Esso si contrappone radicalmente al realismo e alla verosimiglianza: si tratta di un cinema di “visioni”, di allucinazioni, di deliri. L’influenza dei pittori e degli architetti è ben visibile nel cinema espressionista, si pensi al Gabinetto del dott. Caligari di Wiene; si tratta di un cinema fortemente caratterizzato dall’opposizione di luci ed ombre, dalla stilizzazione delle forme, scenografie inquietanti e recitazione fittizia.
Tutti questi movimenti estetici si sono esauriti molto rapidamente. Tuttavia, la loro eredità è ben presente in tutto il cinema successivo fino ai giorni nostri (Hitchcock, Ford, Godard, Wenders…). Uno dei compiti dell’analista è quello di rintracciare questi elementi: dove sono, in che forma, in che misura, quanto condizionano il film e come lo condizionano.
7) Il cinema della modernità: la modernità cinematografica ha origine nell’Europa del secondo dopoguerra, con il neorealismo italiano. Si tratta di un cinema che – per motivi tecnici, finanziari ed ideologici – vuole testimoniare il mondo contemporaneo e le sue verità. L’intreccio è meno importante della descrizione della società. Il neorealismo si rifà al documentario: riprese in esterni, ambienti reali, attori non professionisti, soggetti reali, assenza di spettacolo (insomma, l’esatto opposto di Hollywood). Verso la metà degli anni ’50, invece, questa modernità europea si fa più complessa: le altre arti influenzano molto il cinema, che subisce una metamorfosi (che si concretizza in una certa “libertà dei cineasti” ed un utilizzo di budget ridotti). Ed ecco allora i film d’autore – da Rossellini a Bergman, da Fellini a Truffaut – nei quali si rintracciano le caratteristiche del cinema moderno:
- racconti più deboli e meno drammatizzati: contengono vuoti narrativi, pause riflessive, lacune, momenti ambigui;
- personaggi meno nettamente delineati: i personaggi sono uomini comuni e non eroi; sono spesso in crisi, poco capaci di agire concretamente, dubbiosi;
- scelte narrative complesse: i film procedono mediante sogni, visioni, allucinazioni, ricordi; tutto mischiato alla vicenda principale senza delimitazioni nette e senza continuità;
- presenza forte dell’autore: si sente lo “stile”, la firma dell’autore che utilizza una sua poetica, un suo linguaggio, un giudizio sui personaggi che mostra;
- una certa inclinazione all’autobiografico e al riflessivo: si pensi a molte pellicole con personaggi fortemente autobiografici (Otto e ½, Lo stato delle cose, Effetto notte).
Alcuni strumenti narratologici
Il fatto che un film possa mostrarci o farci sentire in un modo non diretto bensì mediato (dall’Istanza Narrante), non significa ancora che si possa parlare al suo riguardo di narrazione. Perché ciò accada, è necessario che il film dimostri di poter manipolare il tempo e lo spazio della storia e quello di regolare il normale flusso delle informazioni diegetiche (diegesi = tutto ciò che fa parte del racconto) nella stessa maniera in cui è possibile in un racconto e in un romanzo.
Vediamo due esempi: Viaggio attraverso l’impossibile (di Georges Méliès). Si narra di un gruppo di esploratori che decide di andare a dare un’occhiata al sole; così intraprendono il viaggio su una sorta di treno volante. Le prime scene mostrano i preparativi, la partenza e l’inizio del viaggio: la storia sembrerebbe raccontarsi da sola, con la macchina da presa che si limita a riprendere gli avvenimenti. Ma, ad un certo punto, l’occhio della M.d.P. decide di abbandonare il treno in volo per mostrarci il Sole, ancora tranquillo ed ignaro dell’imminente visita. E solamente dopo alcuni secondi il treno arriverà infilandosi nella bocca del Sole. Cosa è successo? Abbandonando quello che fino a quel momento era il vettore narrante della vicenda (il treno), il film costruisce un prima ed un altrove dando origine ad un tempo ed uno spazio non determinati dall’azione bensì dalla manipolazione di un’istanza superiore.
Un’altra caratteristica del racconto è quella di poter manipolare il flusso delle informazioni diegetiche del lettore in modo che egli ne sappia di più o di meno dei personaggi stessi. Ed il cinema? Anche in questo caso prendiamo un film: Giovane ed innocente (di Alfred Hitchcock): Robert è ingiustamente accusato di omicidio; la sua unica possibilità di salvezza è quella di scovare l’assassino che egli è sicuro sia presente ad una festa. Tutto ciò che sa dell’assassino è che ha un tic all’occhio destro; anche lo spettatore ha in precedenza visto l’assassino, ma ora non può riconoscerlo perché è travestito da batterista di colore. Ma ecco che una istanza superiore fa avvicinare la M.d.P. al batterista fino a mostrare il tic nervoso: ora lo spettatore sa quello che il personaggio ignora. La suspense cambia perché lo spettatore non si domanderà più “dov’è l’assassino?”, bensì “ce la farà Robert a scoprire quello che io già so?”.
La narrazione cinematografica è tale quando anch’essa, come accade in un romanzo, costruisce il proprio operare sui principi della selezione e della combinazione. Ogni racconto, infatti, non narra mai tutto il suo mondo diegetico, ma solo dei frammenti (selezione) disposti in un certo ordine (combinazione). Ad esempio, un film che narra la vita di un uomo dalla vita fino alla morte, durata 70 anni, non durerà anch’esso 70 anni, ma solo un paio d’ore. Del lungo periodo diegetico ci mostrerà solo i momenti più significativi. Tale operazione di selezione e di combinazione è perfettamente osservabile in Quarto potere di Welles: il regista seleziona i momenti più significativi della vita di Kane, e fa cominciare il film non con la sua nascita bensì con la sua morte.
Analizzare/Interpretare
Descrivere un film, raccontarlo, significa già interpretarlo: infatti l’analisi procede attraverso un’operazione di ricostruzione del film dopo averlo adeguatamente scomposto. Umberto Eco sottolinea l’importanza di definire anche i limiti dell’interpretazione. Vediamoli nel dettaglio:
1) Interpretazione semantica / interpretazione critica: si tratta di due atteggiamenti che distinguono il lettore dall’analista. L’interpretazione semantica, infatti, rimanda ai procedimenti tramite cui il lettore dà senso a ciò che legge o a ciò che vede e sente nel caso di un film; l’interpretazione critica rimanda invece all’atteggiamento dell’analista, che studia come e perché il testo letterario o filmico produce senso (cerca cioè connessioni tra ciò che si esprime ed il “come si esprime”).
2) Interpretare / utilizzare: un film può essere “utilizzato” dall’analista invece che interpretato. Nel senso che ci si può servire di un film per scrivere un saggio sull’autore, un pezzo di storia del cinema, un libro sui generi cinematografici ecc. Oppure possiamo utilizzarlo per descrivere i lineamenti di un movimento estetico, per ricostruire il quadro di un’epoca o di una società. Qui si parla di “utilizzazione” e non di “interpretazione” per il semplice fatto che ciò che ne ricaviamo deriva da quanto vede l’analista piuttosto che da quanto dice il film.
3) Testo / autore / lettore: se ci interroghiamo su una questione cruciale, derivante da quanto detto sopra, e cioè “da dove viene il senso prodotto dall’analisi del film?”, ne ricaviamo tre possibili risposte:
- il senso viene dall’autore, dal suo progetto, dalle sue intenzioni: analizzare il film significa ricostruire ciò che l’autore vuole esprimere;
- il senso viene dal testo: il senso prodotto non è necessariamente legato alle intenzioni dell’autore, poiché il testo può avere una coerenza propria;
- il senso viene dall’analista: è lui che scopre nel testo significati legati ai suoi meccanismi di comprensione, di valori e di gusti.
Tutti sono d’accordo nel dire che ogni testo può scaturire molteplici interpretazioni; ma è altrettanto importante sapere se questa pluralità di interpretazioni è voluta dall’autore (che avrebbe concepito un’opera aperta e simbolica), prodotta da un testo che per sua natura si apre a più interpretazioni (senza che l’autore lo abbia concepito come tale) o generata dall’attività interpretativa dell’analista (che proietta la propria soggettività sull’oggetto d’analisi). A nostro modo di vedere, è più probabile che i sensi colti dall’analisi di un film abbiano origini il più delle volte miste.
Ogni film è un prodotto cultura e, in quanto tale, non è separabile dagli altri settori d’attività della società che lo produce. Per comprendere adeguatamente la produzione cinematografica di un dato periodo in un dato paese, bisogna farsi un po’ economisti, storici,sociologi ecc. Tornando ad Eco, egli afferma che si possono utilizzare i film per analizzare la società: tuttavia, a noi interessa di più interrogare un film in quanto contiene un insieme di elementi che rimandano alla società reale in cui si colloca.
Il fatto che si tratti di un film storico o di fantascienza non cambia nulla. Un film storico che rimane fedele alla storia reale di un’epoca o di una civiltà può essere una testimonianza ovvia; ma anche gli extraterrestri di un film di fantascienza degli anni ’50 può nascondere elementi (neanche troppo latenti) di carattere sociale e storico: pensiamo a film quali L’invasione degli ultracorpi, La guerra dei mondi o La cosa da un altro mondo; tutte pellicole che evidenziavano i timori e le angosce legati alla guerra fredda.
In ogni film, al di là del suo progetto – che può essere “descrivere”, “distrarre”, “criticare”, “denunciare” ecc. – la società non viene mai mostrata, bensì viene messa in scena: il film opera delle scelte, organizza gli elementi, ritaglia nel reale e nell’immaginario, costruisce un mondo possibile che intrattiene col mondo reale relazioni complesse. Un film è un punto di vista su questo o quell’aspetto del mondo a lui contemporaneo. Quindi un film svolge sempre una funzione nella società che lo produce: testimonia il reale; propone spunti di riflessione; agisce sulla mentalità; regola o fa dimenticare tensioni e via dicendo.
Ci sono almeno 2 trappole nelle quali l’analista può cadere:
1) confondere certe forme cinematografiche con certe funzioni, come nel caso del documentario;
2) leggere in un film tutta la società e la storia presenti, passate e future; come quando si diceva che film quali Il gabinetto del dottor Caligari o Metropolis i loro autori avessero previsto l’arrivo di Hitler e del nazismo.
Pensando alla produzione di significati simbolici,
possiamo individuare tre classi di film:
1) film che richiedono a priori allo spettatore una lettura simbolica totale o parziale (cioè una lettura che non può fermarsi al senso letterale, ma che va messa in relazione con un altro senso). Tale lettura simbolica viene suggerita dal fatto che l’universo diegetico, il mondo possibile che viene mostrato, è estremamente lontano dal mondo reale passato, presente e futuro. Un esempio può essere il monolito nero nel film 2001 Odissea nello spazio.
2) Film che pur restando in una ricostruzione realista del mondo operano un “trattamento particolare del materiale narrativo e filmico”; si tratta di film che non sono immediatamente simbolici, ma lo diventano durante il loro svolgimento.
3)
Film che non
richiedono una lettura simbolica a priori, ma che una volta passati sotto le
mani dell’analista offrono significati simbolici.
Quindi l’analista, in ognuno dei casi, deve procedere con cautela, poiché l’approccio simbolico è giustificato ma non sempre allo stesso modo.
L’analisi in
pratica
Vediamo, in una serie di punti, ciò che bisogna considerare nell’analisi del testo filmico:
1) numerazione dell’inquadratura, durata in secondi e numero dei fotogrammi;
2) elementi visivi rappresentati;
3) scala dei piani, angolazione delle inquadrature, profondità di campo, obiettivi utilizzati;
4) movimenti: degli attori (o altro) nel campo; della Macchina da Presa;
5) raccordi e passaggi da una inquadratura all’altra: stacchi, attacchi, dissolvenze, effetti;
6) colonna audio: dialoghi, rumori, musica; scala sonora; transizioni sonore; continuità e non sonora;
7) relazioni suono/immagine: suoni in/off e fuori campo; suoni diegetici ed extradiegetici; sincronismo.
Facciamo un esempio preso da una scena di Rebecca, la prima moglie (di Alfred Hitchcock):
Visita nella
camera di Rebecca
à
durata della scena: 6’ 10”
à
inquadrature: 36
Dopo la strana visita di
Jack Favell, cugino e amante di Rebecca, la nostra eroina, spinta dalla
curiosità, penetra “clandestinamente” nella camera di Rebecca che non aveva mai
visto [continua]…
3° passo: descrizione delle inquadrature più importanti
Le quattro inquadrature
iniziali mostrano la giovane donna che sale timidamente le scale e si avvicina
alla camera di Rebecca. Atmosfera di suspense. (segue scala dei campi e dei
piani).
4° passo: stesura della sceneggiatura desunta
La pagina è divisa in due
come nella tipica sceneggiatura all’italiana. Sulla colonna di sinistra trovano
posto le indicazioni tecniche relative al visivo, sulla colonna di destra quelle
relative al sonoro.
5° passo: analisi degli aspetti della sequenza
Si tratta di osservare ed analizzare alcune componenti importanti:
- lo spazio scenico: elementi che lo compongono; lo spazio in rapporto agli eventi; la funzione dello spazio;
- i personaggi: caratteristiche fisiche e psicologiche; le relazioni che si presentano;
- la messa in scena: quella del regista e quella dei personaggi (se c’è);
- il ritmo: analisi del montaggio e dell’utilizzo della colonna sonora, legati all’intensità delle emozioni che suscita la sequenza.
Analizzare un intero film: Rebecca, la prima moglie
Quando ci si appresta ad analizzare un intero film, sono sostanzialmente 3 le domande alle quali si cerca di rispondere: 1) Quanto dura complessivamente il film? 2) Si possono distinguere della parti e delle sotto-parti? 3) Quanto tempo durano le singole parti?
Cerchiamo di creare una griglia che possa servire da guida per l’analisi di un film, in questo caso Rebecca, la prima moglie di Alfred Hitchcock:
Riassunto del Film
Una giovane donna rievoca l’incontro con il proprio marito ed i mesi successivi al loro matrimonio, trascorsi in Inghilterra. Rebecca, prima moglie di Maxim, è morta annegata un anno prima. Mrs. Danvers, la governante, continua a mantenere vivo il ricordo di Rebecca, non ammettendone la scomparsa. Così la donna non accetta la presenza della nuova moglie e cerca di sbarazzarsene. […]
Segmentazione del film in grandi atti
I criteri
che consentono di segmentare il film sono:
1. lo spazio;
2. il tempo;
3. la punteggiatura (dissolvenze);
4. la logica narrativa (ogni atto ruota attorno ad un evento o ad una serie di eventi)
Non tutte le dissolvenze indicano il passaggio da un atto all’altro. I criteri di segmentazione non sono rigidi e differiscono da un film all’altro. Ciò che è richiesto all’analista è una buona intuizione.
Segmentazione del film
1 prologo – 5 grandi movimenti di durata praticamente uguale – 1 epilogo
Segue la descrizione particolareggiata della durata di ogni elemento (per esempio: Atto II: 22’ – arrivo a Manderley. Primo giorno e prima serata; primo contatto con la governante e successive “gaffe”della giovane sposa; disagio crescente nel nucleo familiare;
Analisi
delle sequenze
Quanto detto per l’intero film, vale anche per la singola sequenza: infatti, ogni sequenza può possedere numerose sotto-sequenze, principali o secondarie.
Analisi del
dispositivo narrativo
Viene osservato il film nella sua globalità. Come inizia, quali elementi mette in risalto, quali strategie sceglie (voce fuori campo, flashback, effetti particolari ecc.), come procede la narrazione, come si passa da un grande movimento all’altro, come si arriva al climax della vicenda e come si conclude.
Infine, a proposito delle forme filmiche corte (spot, video-clip, cortometraggi di finzione o di poesia), va detto che esse offrono buone basi per esercitarsi nell’analisi. Così come costituiscono una palestra obbligatoria per l’aspirante regista o attore, allo stesso tempo sono una tappa utile anche all’aspirante analista. Tuttavia, occorre differenziarli nettamente dai lungometraggi di finzione: gli spot sono legati a strategie esclusivamente commerciali; i video-clip sono indissolubilmente legati alla musica; i cortometraggi hanno natura di versa e possono essere di vario tipo.
Compiled by Jedi Simon Foundation .