Il racconto della montagna 
Jedi Simon

 

Un giorno, un ragazzo che aveva voglia di ritrovare se stesso e di stare un poco in pace nella tranquillità della natura, si incamminò sul sentiero che portava alla montagna, deciso a scalarla tutta sino in cima e a lasciare passo dopo passo dietro di se tutti i problemi del mondo. Prese con se una pagnotta, una borraccia d'acqua, e qualche frutto, quindi dopo aver deposto nel suo sacco le vivande, si procurò anche dell'incenso da bruciare, che gli avrebbe fatto compagnia nel silenzio della prateria. Si incammino' deciso, e con passo costante e misurato, superò il primo dei tre monti chiamati non a torto dei "Sassi Fracassati". Li, si rischiava ad ogni passo di prendere una storta,

e se si poggiava male un piede su una di quelle sdrucciolevoli pietre, era certo il fatto che il ritorno si sarebbe fatto come minimo su una gamba sola e con l'aiuto di entrambe le mani. I  problemi però, non distolsero il suo sguardo e la sua attenzione, e quando il primo dei tre monti fu superato, egli si sedette su una grossa pietra, bevve un sorso, si asciugò la fronte, e riprese fiato. Si alzò, e si incamminò nuovamente, quando ben presto si accorse di aver superato anche il secondo monte dei Sassi Fracassati, e questa volta, dato un morso alla pagnotta, levò lo sguardo al cielo, e seguì il volo silenzioso del falco, che sparì oltre l'orizzonte del terzo monte. Lo rincorse, e affrettando il passo, balzando qua e la da una pietra all'altra, sfidava ormai la sorte e i precari equilibri delle pietre, adagiate le une sulle altre come grani di una clessidra pronti a scivolare. Arrivò sulla sommità del terzo monte, rivide il falco, sorrise, e discese per la china felice di averlo raggiunto con lo sguardo. Il falco avrebbe vegliato su di lui, ne era certo, e sapeva che l'avrebbe accompagnato sino in vetta.

 

Superato il terzo monte, finalmente si sedette a riposare sul ramo disteso dell'Albero Stanco, che chino e parallelo al suolo, si prestava meglio di ogni altro a far da altalena alle membra affaticate dei viandanti. Si curò di far ondeggiare un poco il ramo al suono dei campanacci delle vacche che si perdevano fra gli echi della montagna, e dopo aver accarezzato la corteccia con la mano, salutò l'albero e cominciò a scalare la via che egli preferiva. Da questo momento in poi, le pietre avrebbero fatto a metà con la terra, e approfittando di ciò, si tolse le scarpe e le mise nel sacco, per salire più agevolmente poggiando i piedi sulla morbida terra. Le querce secolari divennero presto le sue compagne, e mentre la salita si faceva sempre più dura e i canali, che come le rughe di una mano segnavano la pelle della montagna sempre più alti, egli si credette inghiottito dalla gola di un gigante quando non vide più il cielo per alcuni passi. Finalmente giunto al Trivio degli Gnomi, si sedette sul grande masso a riprendere fiato. Silenziosamente, volgeva lo sguardo qua e la alla loro ricerca, e trattenendo il fiato, cercava di avvertire i più piccoli rumori che potessero indicargli la loro presenza. Attese una mezzora, e quando con la coda dell'occhio gli parve di aver visto un movimento, seppe che si erano nascosti dietro le sue spalle a guardarlo, e che si erano burlati di lui, come sono soliti fare. Spezzò la pagnotta, ne posò mezza sul masso, ci mise accanto un pizzico di sale, un paio di pietre focaie, e riprese a scalare la montagna. Ora i canali si erano fatti più larghi, e gli alberi immensi meno tenebrosi. La nebbiolina e il profumo umido delle foglie, aveva lasciato posto alla brezza fresca e quasi pungente che anticipava il sibilo dei venti che spiravano sull'altipiano sottostante la vetta della montagna.  Improvvisamente, vi su silenzio. La brezza cessò, e un caldo tepore pervase ogni cosa. Sembrava quasi che la temperatura dell'aria si fosse innalzata di colpo. Si tolse la maglia, e la legò in vita, quindi superata la strettoia del Valico Falso, con andatura tranquilla e pesata, pregustava già il momento in cui la salita si sarebbe fatta nuovamente sentire, e solo allora, quando il bagliore del cielo gli avesse fatto socchiudere gli occhi nel tentativo di resistere a quella luce sfolgorante, si sarebbe messo a correre a perdifiato per entrare di gran corsa nella sua prateria.

Luce. Attesa. Silenzio. Il rumore dei suoi passi. Quello del cuore in gola. La corsa a perdifiato. L'orizzonte trasformato. La prateria dell'altipiano. Davanti a se, assieme alla vetta della montagna. Le muraglie basse degli antichi recinti erano cadute qua e la.

Le vacche e i buoi pascolavano. I cavalli, più in la correvano e nitrivano. Una giumenta galoppava assieme al suo puledro, e il falco, ricambiò il suo sguardo che si posava sulla vetta. Senza alcun rumore, ne' sibilo ne' battito d'ala, spari oltre la nebbia, portato dal vento, innalzato dalle correnti. Egli si incammino a piedi nudi per la prateria seguendo il sentiero morbido e calpestato delle vacche. La terra era calda, e baciava i suoi piedi. Si incamminò verso la casetta di pietra che era al centro della valle, e si sedette in terra a meditare. C'era un masso alto come un uomo alla sinistra del rifugio. C'era una calma immobile come l'acqua dello stagno.

Decise di raccogliere le pietre più grandi che erano rotolate giù dai muriccioli, e di farne le pareti di un Cerchio di Roccia per contenere il fuoco che avrebbe acceso quel pomeriggio. Raccolse la legna presso il bosco vicino, e ve la sistemò al centro in una grande catasta, poi entrò nella casetta di pietra. C'erano massi di ogni misura. Mischiati alla terra. Pensò che le vacche della prateria avrebbero apprezzato il suo servizio. Entrò, e cominciò a raccogliere massi grandi un braccio, per poi portarli fuori e sistemarli uno ad uno in cerchio, a proteggere il fuoco che avrebbe acceso di li a poco. Prese le pietre focaie, della paglia, e chino in terra, risvegliò la sua luce e il suo calore. Era bello davvero. Scoppiettava, crepitava, e cantava mentre l'umidità fuoriusciva dalle fessure dei rami. Prese l'incenso, e cominciò a sistemarlo tutto intorno alla casa, al masso e alla pira. Rientrò nel cerchio profumato, e continuò instancabilmente per ore a svuotare la casa di quei grandi massi. Ogni pietra rimossa dalla casetta era un problema in meno.  Ogni roccia, un attaccamento lasciato e una liberazione raggiunta. Erano le quattro della sera. Erano almeno cento, le pietre da portare. Vennero i buoi e le vacche da ogni parte. Non capiva. Si voltò. Erano li. Si sentivano i loro muggiti da ogni parte nella valle. Ed essi si rispondevano dandosi apparentemente appuntamento alla casa di pietra. Venivano verso di lui. Ma egli continuò imperterrito, anche se intimorito a spostare le pietre.

D'un tratto, intrufolandosi fra un masso e l'altro, improvvisamente uno dei buoi entrò nella casa di corsa, si volto verso di lui e gli sbarrò l'entrata. Strano davvero si disse, ma risoluto a continuare nella sua azione e a portare a termine i suoi propositi, cominciò a battere con un bastone il muro dietro la casa. Il bue, dalle grandi corna, uscì incuriosito, ed egli girando attorno alla casa frettolosamente dall'altro lato, entrò, prese un'altra pietra, e la posò accanto al fuoco. Le vacche e i buoi continuavano ad ammassarsi presso la casetta. Venivano verso di lui in fila da più direzioni, forse attratti dal profumo dell'incenso o forse dalla sua presenza. Tornò sui suoi passi, ma questa volta il bue lo aveva preceduto e si era nascosto nell'ombra, e gli sbarrò ancora la strada. Riprovò ancora una volta la tecnica del bastone, ma questa volta i buoi divennero due, uno nella casa e l'altro a guardia della porta. Armato di pazienza, attese quindi dietro al grande masso, e dopo aver dimostrato quanta pazienza aveva ai due, ebbe nuovamente campo libero. Uscirono, spontaneamente, e quando rientrò nella casa un grande coro di muggiti si levò dietro di lui. Riprese allora velocemente a svuotare delle ultime pietre

la casa. C'erano corna da tutte le parti, e occhi grandi che lo guardavano. Sentiva il loro respiro e la loro fermezza. Raccolta l'ultima pietra, la gettò di fretta nel fuoco, e raccolta una pertica di tre metri, si mise fra la casa di pietra e il grande masso come a guardia

della propria paura. I buoi si fecero vicini. Finchè le loro corna appuntite si trovarono ad una spanna dal suo volto.

Lo circondarono, gli ricordarono il significato della paura, ed uno ad uno muggendo possenti e facendolo tremare, fecero sentire la loro voce, mentre lo guardavano negli occhi. Tutto questo durò un'eternità. Ed egli immobile come la roccia che aveva accanto non riusciva neppure a pensare. Il fuoco bruciava. Il fumo dell'incenso si spargeva per la valle sino alla vetta della montagna. Il falco vegliava. E lui tremava,

scalzo e armato del bastone della sua paura. Non sapeva. Si domandava..., aveva mancato loro di rispetto? Temeva, ma erano in troppi e tutt'attorno, ed era li che sarebbe dovuto restare sino a quando anche l'ultimo dei buoi non fosse passato dinnanzi a lui e l'avesse guardato negli occhi. Muto come un pesce, fermo come la vetta solitaria, si rese conto improvvisamente che quel giorno aveva raggiunto il cuore della montagna, e la vetta alla quale egli aveva anelato così a lungo, non era stata che un miraggio. Non sarebbe servito a nulla salire sulla sua groppa. Egli era infine nel cuore della montagna. Sentì la gola stringersi e deglutì. Gli occhi dei buoi si fecero allora dolci. Non provava più paura, ne' era contratto. Passarono, lo salutarono, e se ne andarono tutti per la medesima direzione. Quando furono svaniti, posò la grande pertica che era diventata una con la sua mano. Si scostò dall'ombra cara del grande masso. Mise nel fuoco il palo di legno, e si riscaldò. La pagnotta sulla brace, un sorso d'acqua, poi un boccone e i due frutti che lo  dissetarono.

C'era un gran silenzio tutto intorno. Non sapeva se un giorno avrebbe compreso ciò che gli era accaduto. Si domandava cosa fosse successo. Non era più lo stesso. Per quanto avesse studiato, vissuto ed incontrato, questo non gli era mai capitato. Qualcosa si era mosso, dentro e fuori di lui. Qualcuno aveva ascoltato i suoi pensieri, e gli aveva parlato e insegnato attraverso le cose del mondo. Era stata la lezione più profonda e più bella. Senza una parola. Senza riflesso visibile. Senza un maestro che gli indicasse la via tracciata. Senza testimoni all'infuori di ciò che credeva di essere, della mandria e del falco solitario. Aveva liberato la casetta dai massi, e il mondo che conosceva era svanito per un giorno. Quale strana lingua aveva parlato? In quale luogo era capitato? Raccolse il suo sacco, se lo mise in spalla. Mise il sale e le pietre focaie sul tavolo di pietra nella casetta. Ringraziò, chinò il capo e partì. La discesa fu rapida e veloce. Egli balzava come uno stambecco di zolla in zolla fra un sasso e l'altro. Non un graffio sui piedi, non un secondo perse l'equilibro scendendo. Il pane non c'era più. Ne' il sale, ne' le pietre focaie. Si voltò, fece un inchino, un sorriso agli alberi e una piroetta, e tornò a correre

giù per il sentiero. Tornava, pensava, ma gli pareva di pensare in una lingua sconosciuta. Cantava, danzava e non credeva più in qualcosa che non'c'era, ma sapeva. Sicuro, carezzò l'albero stanco, e superò i tre Monti Fracassati d'un fiato.  Avvertì lo sguardo del falco su di se. Si vide dal cielo. Sentì le sue ali stringersi come in un abbraccio, e lo ammirò mentre picchiava verso valle, dove egli era diretto. Seguì la sua via, e tornò nel mondo che aveva lasciato dietro di se. Aveva ritrovato la tranquillità, la pace e la calma dei fili d'erba, e incantato dal mondo incontrato, seppe che il suo tesoro non pesava nulla, e che il miracolo che aveva vissuto avrebbe potuto portarlo in se senza fatica. La giornata volgeva all'imbrunire. Infilò le scarpe e riprese la via. Salutò la montagna e si incamminò con passo misurato ad occhi chiusi verso la meta non prefissata. La volontà era una sola. Che egli od un altro la desiderasse. La via nasceva sotto i suoi passi. Non ebbe più bisogno di costruire ponti per attraversare i fiumi. Non ebbe più bisogno dei sentieri calpestati, poiché aveva conosciuto la dimestichezza. Tutto questo gli insegnarono i buoi, le pietre ed il falco. La notte calò, ma il calore delle braci che fumavano ancora era in lui. Il cielo stellato risplendeva. Prima di addormentarsi si disse che i sogni risvegliano quelli che sanno prestare ascolto. Ed era felice di aver prestato ascolto. Aveva compreso il rispetto per l'invisibile. Nessuna legge avrebbe potuto spingerlo per una strada diversa. L'evidenza era li, semplice e perfetta. Si affidò ad essa, e nulla più gli mancò, nel cuore, nell'anima e nel sorriso.

Jedi Simon

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