Goldman Sachs
L'anonimo edificio color ruggine al numero 85 di Broad Street, nella parte bassa di Manhattan, non sembra un posto che valga la pena di fermarsi a guardare, ed è proprio quello che piace a coloro che ci lavorano. Gli uomini e le donne che in un piovoso mattino vi sbarcano nella tipica tenuta di Wall Street - abiti scuri, ventiquattrore e BlackBerry – sono molto riservati. Vanno rapidamente dalle Lincoln nere all'edifico attraversando praticamente il nulla: nessuna targa sulla facciata o indicazione nel vestibolo, nulla che permetta di collegare il sorvegliante armato all'esterno con l'attività svolta all'interno. C'è un buon motivo per tutta questa segretezza: il numero 85 di Broad Street, New York, NY 10004, è dove ci sono i soldi, tutti i soldi.
È il miglior posto per produrre denaro che il capitalismo globale sia mai riuscito a immaginare e, dicono molti, è una forza politica più potente di qualsiasi governo. La gente che lavora oltre le porte vetrate fa più soldi di molti stati. I beni ammontano complessivamente a 1 trilione di dollari, le entrate annuali sono dell'ordine di decine di miliardi, i profitti, vari miliardi, vengono generosamente ridistribuiti all'interno.
In quest'anno di crisi lo stipendio medio di ciascuno dei 30.000 dipendenti dovrebbe raggiungere la cifra record di 700.000 dollari, con picchi di varie decine di milioni (centinaia di migliaia di volte più di un inserviente della stessa impresa). E quando avranno finito di diventare "schifosamente ricchi a 40 anni", i funzionari non si ritroverebbero in brache di tela nemmeno se l'attività dovesse andare a carte quarantotto; verrebbero paracadutati in uno dei prestigiosi posti politici negli USA o all'estero, facendo nascere il sospetto che "governino il mondo". Il numero 85 di Broad Street è la sede della Goldman Sachs.
La più famosa banca d'investimenti si nasconde dietro la piena di denaro che genera e fa piombare su Manhattan, sulla City di Londra su e buona parte delle altre capitali finanziarie in tutto il mondo. Ma adesso i maghi occulti dell'impero bancario sono obbligati a esporsi alla fredda luce del giorno. Pubblico, politici e stampa ritengono che la crisi creditizia sia la conseguenza delle spericolate attività di trading delle banche e in primo luogo della Goldman, quella di più successo tra le sopravvissute. Politici e commentatori fanno a gara per denunciare la Goldman con termini sempre più pesanti: "ladri tra i ladri", "vandali economici", "capitalisti di rapina". Vince Cable, portavoce del Lib Dem Treasury, confronta i recenti eccezionali risultati della banca (un profitto di 3,2 miliardi di dollari solo nel quarto trimestre) e i previsti bonus con la situazione lavorativa e le entrate della gente comune nel 2009.
Negli USA la situazione è ancora peggiore. La rivista Rolling Stone ha pubblicato un articolo che descrive la Goldman come "un'enorme sanguisuga che succhia incessantemente sangue se solo sente odore di soldi". Nel suo ultimo documentario (Capitalism: A Love Story), Michael Moore si presenta al numero 85 di Broad Street con un furgone portavalori, tira fuori un sacco contrassegnato da un enorme dollaro, si volge verso l'edificio e urla: "Siamo qui per riprenderci i soldi dei cittadini americani!".
Di colpo la reputazione della Goldman è diventata ancora più tossica degli swap e degli altri incomprensibili strumenti finanziari, e questo danneggia gravemente qualcosa che la banca considera al di sopra di tutto: gli affari. La Goldman, principale obiettivo della rabbia popolare e dei politici, e potenziale prima vittima di nuove regole draconiane, ha quindi deciso a malincuore che è arrivato il momento di parlare e combattere. Ed ecco perché, in una luminosa mattinata autunnale in cui tutto sembra possibile – anche un invito a pranzo con i padroni dell'universo – mi sono ritrovato a passare dinanzi alla guardia che aveva bloccato Michael Moore e ad entrare nell'edificio senza nome.
"Ah! Ci ha sorpreso a complottare in tempo reale", dice Lloyd Blankfein, staccandosi da un gruppo di alti dirigenti che stanno discutendo il suo viaggio a Washington del giorno precedente. Blankfein, 55 anni, presidente e CEO della Goldman, abito scuro e vivace cravatta di Hermès ornata con piccole biciclette rosse, e ha tra le mani un'enorme tazza di caffè. Forse è la caffeina, o forse la cravatta (un regalo d'anniversario di sua figlia), certo è che è in forma perfetta per uno che tutti sembrano odiare. "Qui è come un safari", scherza, "e lei è venuto a osservare gli animali".
Blankfein potrebbe essere il Dio Sole di Wall Street, ma con l'attuale tempesta economica non ci tiene a farlo sapere, e qualsiasi segno di status symbol o, orrore!, ostentazione viene cancellato dalla sua vita, almeno pubblicamente. Prendiamo ad esempio il suo ufficio al 30° piano: le sedie sono le stesse di quando diventò CEO tra anni orsono, non c'è traccia dei tappeti tessuti a mano da 87.000 dollari o dei cestini per rifiuti da 5.000 dollari che fanno parte della tradizione di Wall Street, nessun segno di esuberanza irragionevole. Solo caffè, che arriva freddo. Il giusto tono per il lavoro in corso. Il grande mago di Wall Street si sta preparando per la più difficile vendita della sua vita: è qui per esaltare il buon vecchio capitalismo, le banche d'investimento, e la Goldman Sachs.
Fortunatamente per lui, e per la sua impresa, è un venditore maledettamente in gamba. Comincia con un tono umile: si rende conto che "la gente ne ha le palle piene, è incavolata, da fuori da pazza" per il modo d'agire delle banche. La Goldman ha una parte di colpa per gli sconvolgimenti che hanno quasi distrutto il sistema finanziario mondiale: come molte altre banche ha prestato troppo denaro, per la prima volta in oltre dieci anni l'anno scorso ha registrato un trimestre in perdita e ha finito col prendere in prestito da Washington capitali bail-out. "Lo so che se mi spaccassi il collo la gente gioirebbe" aggiunge. Ma poi passa pian piano a difendere la funzione del sistema bancario moderno. "Svolgiamo una funzione fondamentale" sostiene, smettendola di autoflagellarsi. "Aiutiamo le aziende a raccogliere capitale e a crescere. E le aziende che crescono creano ricchezza, che a sua volta permette alla gente di trovare posti di lavoro, e questi generano a loro volta altra crescita e altra ricchezza. È un circolo virtuoso". Per rendere inattaccabile il suo punto di vista, fa un'affermazione sorprendente: "Svolgiamo una funzione sociale".
Funzione sociale? Tutti quelli che hanno perso il lavoro o si sono visti decurtare gli stipendi, grazie alle banche che avevano rifilato loro ipoteche sospette e prospettato investimenti talmente complessi che nemmeno chi li vendeva sapeva di cosa si trattava, sarebbero ben contenti di spiegargli dove ficcarsi i suoi scopi sociali. Blankfein è un ottimo propagandista della creazione di ricchezza; ma della sua ricchezza. Non è il ricco rampollo che tesse elogi del capitalismo selvaggio dal suo ovattato nido d'aquila al 30° piano; nato nel duro quartiere del Bronx da un impiegato postale e una receptionist, fu il primo nella sua famiglia a frequentare le scuole superiori ed entrò ad Harvard grazie all'aiuto finanziario ricevuto.
Anche se si è assegnato uno stipendio annuale superiore a quello che quasi tutti noi potremmo mai sperare di ricevere (68 milioni di dollari nel solo 2007, un record tra i CEO di Wall Street, e oltre 500 milioni di dollari in azioni della Goldman) continua a definirsi "un semplice lavoratore".
Ma se parlassimo dei capi d'accusa? I banchieri hanno portato il mondo sull'orlo della bancarotta, e invece di fare l'unica cosa giusta, buttarsi dalla finestra, hanno implorato i governi per riuscire a succhiare i soldi dei contribuenti e farla franca. Ora, esattamente un anno dopo, si comportano come se non fosse accaduto nulla: giocano e vincono coi nostri risparmi. Nel secondo trimestre i profitti della Goldman hanno raggiunto la cifra record di 3,4 miliardi di dollari, in buona parte guadagnati negoziando azioni, valute e beni patrimoniali.
La Goldman ha ricominciato a farlo per due buoni motivi: in primo luogo perché i mercati globali sono in netta ripresa (un recupero del 50% dai minimi toccati con la crisi creditizia, grazie ai nuovi capitali, in buona parte pubblici, immessi nei circuiti finanziari), e in secondo luogo perché – con Lehman Brothers e Bear Stearns fuori gioco, Merrill Lynch una pallida ombra di se stessa, Citigroup e UBS senza la potenza di un tempo – la banca ha ora messo le mani su una fetta più grande della torta. "Ce ne f*** dei concorrenti. Abbiamo di nuovo un bilancio florido e un gruzzolo più grande e ricco da spartirci"; è così che i banchieri della Goldman presentano la situazione. Non c'è da stupirsi se la banca sta accantonando oltre 20 miliardi di dollari da distribuire in stipendi e bonus.
Giusto e lucrativo. Ma non sarà invece piuttosto ingiusto? La Goldman non sta per caso agendo come l'equivalente moderno dei pescecani di guerra, avvantaggiandosi della crisi globale e delle misure di emergenza dei governi per rastrellare milioni? Persino l'esperto finanziere George Soros sostiene che gli enormi profitti delle banche di Wall Street sono "regali mascherati" dello stato.
Blankfein respinge l'insinuazione che la Goldman abbia avuto bisogni di capitali a fondo perduto e, per estensione, rifiuta l'idea che la società stia ora approfittando dell'aiuto pubblico. Certo, ha ricevuto 10 miliardi di dollari dal programma Tarp (Troubled Asset Relief Program) di Washington, ma ha già rimborsato la somma con un sostanzioso interesse del 23%. La Goldman ha inoltre tratto vantaggio dal salvataggio federale della grande assicuratrice statunitense AIG, con la quale aveva sottoscritto assicurazioni per 20 miliardi di dollari, ricevendo in cambio miliardi di dollari (forse 13) quando Washington ha trasferito 90 miliardi nelle casse del traballante gigante. Blankfein insiste nel dire che la Goldman era protetta dalle perdite dell'AIG nel miglior modo possibile, con fondi liquidi, e che in caso di fallimento dell'assicuratrice non ne avrebbe quindi sofferto; ma i critici dicono che se l'AIG fosse scomparsa dalla scena l'intero sistema finanziario sarebbe imploso, trascinando nel baratro anche la banca. Ma c'è di più; in piena crisi la FED ha infranto una tradizione vecchia di 80 anni e ha permesso alla Goldman di trasformarsi da banca d'investimenti in holding bancaria, e di ottenere quindi prestiti agli stessi bassi tassi d'interesse concessi alle banche commerciali. Blankfein afferma che la Goldman ha cambiato statuto non per problema di soldi ma perché, dopo il collasso della Bear Stearns e della Lehman, era evidente che il mercato non credeva più nella capacità dell'US Securities and Exchange Commission di regolamentare le banche d'investimento. Essere controllata dalla FED avrebbe aiutato a ristabilire la fiducia nell'intero sistema finanziario.
Indipendentemente dalle vere ragioni alla base della decisione, nemmeno il più fanatico sostenitore della Goldman può negare che solo grazie all'aiuto pubblico esiste ancora un sistema finanziario in cui la banca può continuare a operare. Washington ha sostenuto l'economia e le banche statunitensi con oltre 12 trilioni di dollari. Veramente Blankfein non si rende conto che per quasi tutti noi è esasperante vedere la Goldman rastrellare tanto denaro mentre dobbiamo barcamenarci per arrivare a fine mese? Al contrario, insiste nel dire che dovremmo gioire per i successi della banca, non condannarli. "Francamente, tutti dovrebbero essere contenti" sostiene. Parla seriamente? Incredibile. I risultati della Goldman, argomenta, sono il segnale più chiaro di un nascente recupero economico che avvantaggerà non solo lui e la sua banca ma tutti noi "Il sistema finanziario ci ha trascinato nella crisi e adesso ce ne tirerà fuori".
Blankfein si lancia in un'altra affermazione altrettanto audace. Dovremmo essere contenti che la Goldman abbia ricominciato a elargire compensi faraonici. La banca non deve rispettare il tetto massimo sui bonus deciso dal presidente Obama, perché ha rimborsato in liquido i fondi bail-out a suo tempo ricevuti; poter offrire i migliori stipendi per assumere e mantenere i migliori banchieri non affosserà il sistema ma anzi lo salverà. Uno stipendio legato ai risultati garantisce un'attività responsabile di alto livello: "Se guarda le nostre norme sui compensi, noterà che c'è sempre stata una la perfetta corrispondenza tra livello di compensi e risultati nel lungo periodo. Altri registravano perdite ma pagavano lo stesso bonus rilevanti; ora sono in parte scomparsi dal mercato, e si capisce perché".
Molti non sono d'accordo, e ritengono che nell'attuale piatto panorama economico, i compensi faraonici non sono più necessari. Lucian Bebchuk, professore di legge, economia e finanza alla Harvard Law School, sostiene: "Attualmente per le banche è più facile evitare che i propri dipendenti vengano allettati da altre offerte. Ci sono opportunità meno interessanti che nel 2007".
D'accordo, dimenticate, se ci riuscite, i fondi bail-out, i bonus, i capitali rapinati. Ma sicuramente Blankfein non può ignorare la tesi dell'editorialista David Hare. Nel suo scritto più recente, Hare considera una forma di "ricatto" sostenere che non c'è recupero possibile se non lasciamo ai banchieri la libertà di continuare ad agire come hanno sempre fatto e a premiarsi con somme illimitate. È quello che sostennero i minatori negli anni '70, solo che questa volta al posto della National Unio n of Mineworkers ci sono la City e Wall Street. Blankfein non ha tempo da perdere con discorsi di questo tipo: i banchieri non sono minatori. "Ho questo da dirvi" sibila mentre gli occhi si riducono a una fessura "se crolla il sistema finanziario crolla anche la nostra attività, e, mi creda, in tal caso crollerà anche la sua attività e quella di qualsiasi altro cittadino".
Come un paziente che è uscito dal coma, per Blankfein la crisi creditizia è servita solo a rinforzare la sua passione per far soldi. Parlare con lui è come parlare con qualcuno nelle cui vene scorrono dollari, non sangue; crede fermamente di essere bravo in quel che fa e che quel che fa è intrinsecamente buono. Ed ha i suoi sostenitori: nella lista New Establishment 2009, Vanity Fair gli ha assegnato l'ambito primo posto, dinanzi a figure come Steve Jobs, alla guida di Apple, o Sergey Brin e Larry Page, i fondatori di Google. Altri, ad esempio l'editorialista del New York Times Andrew Ross Sorkin, sostengono che il pubblico non può "avere tutto e il contrario di tutto"; nel pieno della crisi dell'ultimo anno, ricorda Sorkin "molti incrociarono le dita e si augurarono che la Goldman e i sopravvissuti di Wall Street venissero salvati per arrestare la caduta, e adesso che le banche sono finalmente di nuovo in grado di funzionare normalmente le vorrebbero di nuovo nella polvere".
Che siate o meno d'accordo, un fatto è certo: "la tenace G" sembra avere in mano le carte vincenti nei momenti buoni ma anche, lo abbiamo visto in tempi recenti, in quelli cattivi". Rimane solo una semplicissima domanda: come fa? Qual'è la sua ricetta segreta? Per cercare di trovare la risposta dovete lasciare l'ufficio di Blankfein e scendere al 17° piano. Strada facendo potrete ascoltare i banchieri d'investimento, i trader, gli strateghi e i quantisti (i cervelloni matematici che creano fantastiche formule) che parlano di "tassi d'interesse degli swap", "default no credit", "opzioni exotic e vanilla", "differenziali lettera/denaro", "bund", "bobl" e Dio solo sa cosa ancora. Quando passate dinanzi all'85 di Broad Street non potete naturalmente vedere i soldi fluttuare, ma potete sentirli spostarsi giorno e notte tra banca centrale, banche commerciali e d'investimento, grandi aziende, oligarchi sovietici, operatori mediorientali e sceicchi, petrolieri texani e anonimi milionari nelle Bermuda e nelle isole Cayman.
In un ufficio con una macchia d'inchiostro sul tappeto, lavora Liz Beshel, il primo ingrediente fondamentale della mistura segreta della Goldman. La banca assume solo il meglio in assoluto, e non ce ne sono molte come Beshel. Madre nubile di 40 anni, parla a una tale velocità e con una tale conoscenza dei segreti dei mercati finanziari che in pratica ci vuole una laurea della Harvard Business School per seguire il filo del suo discorso. Reclutata dalla Goldman quando era ancora all'università, si organizzò per prepararsi a un MBA della Columbia University di New York "nei fine settimana". Proprio come voi. Avanzò rapidamente nella gerarchia della banca d'investimenti e divenne il più giovane tesoriere generale nella storia della banca. Oggi sorveglia ogni sterlina investita dalla banca, ogni yen prestato, ogni dollaro che entra o esce dal bilancio; almeno un trilione di dollari al giorno. Quanti soldi possiede la banca in questo momento? chiedo. "164,2 miliardi di liquido o equivalente", risponde senza fermarsi un solo istante a tirare il fiato.
È proprio grazie a persone come Beshel che la Goldman Sachs non solo dispone di un così grosso capitale ma è anche capace di sfruttarlo. Ogni giorno lo staff soppesa attentamente i beni della banca, fino all'ultimo centesimo, ed esamina con rigore clinico perdite e profitti. La banca è così in condizione d'individuare, con chiarezza e rapidità, le tendenze dei mercati, e, afferma, di gestire i rischi meglio di quanto possono fare quasi tutti gli altri istituti di credito. "Riteniamo che le nostre decisioni sono le migliori" sostiene Beshel, e ci sono prove a favore di questa affermazione. Prendiamo, ad esempio il settore dei subprime, la bomba creditizia tossica che ha dato il via alla crisi economica. Un anno prima che gli avventati prestiti immobiliari distruggessero Lehman e Bear Stearns, costringessero a un matrimonio di convenienza tra Merrill Lynch e Bank of America e tra HBOS e Lloyds, e trasformassero la Royal Bank of Scotland in una barzelletta, le valutazioni quotidiane della Goldman avevano evidenziato sofferenze modeste e per non più di una settimana. Nella maggior parte delle banche le perdite sarebbero passate sotto silenzio o sarebbero state considerate un incidente di percorso; invece la Goldman organizzò una riunione degli alti vertici per cercare di capire cosa stava succedendo. Anche se i mercati immobiliare e creditizio erano ancora in piena effervescenza, la banca non apprezzò la situazione e cominciò a ridurre le esposizioni. Quando esplose la crisi creditizia le sue perdite nel settore dei mutui ammontarono a soli 1,7 miliardi di dollari, meno di qualsiasi altra grande banca d'investimenti (la UBS perse 58 miliardi di dollari).
Essere più furbi della maggior parte dei banchieri è una cosa, ma per lavorare alla Goldman bisogna lavorare ancora più duramente. Chiedetelo a Sarah Smith, una cinquantenne ex studentessa della Bromley (Kent) che lasciò il Regno Unito per diventare capo contabile. "È la cultura del tempo pieno" sostiene "Quando c'è bisogno di voi, dovete essere disponibile. E se quando c'è bisogno di voi non rispondete al telefono, non ci sarà più bisogno di voi per molto ancora".
L'anno scorso Smith, il cui ufficio è a un tiro di schioppo dall'Embassy Suites, l'albergo dove lo staff della Goldman va a riposare per qualche ora dopo aver lavorato fino al punto da cominciare a dormire in piedi, ha preso solo pochissimi giorni di congedo. Quanti giorni di vacanza può prendere ogni anno? " Non lo so. Nessuno in realtà lo sa perché nessuno li può sfruttare tutti".
La brutale etica lavorativa consente alla Goldman di essere in vantaggio al momento di accaparrarsi i clienti migliori, e con più soldi. Un esperto dirigente della banca spiega "Sin dall'inizio venite programmati a rendere più degli altri, a vedere più gente: clienti o partner dei diversi fondi". Lo staff viene inoltre addestrato a un severo "lavaggio di cervello" dei clienti e dei contatti. "Chiedete quale è stato il loro migliore affare e come vedono il mercato, dice uno "offrite in cambio qualcosa, ma ottenete sempre di più in cambio. Poi diffondete l'informazione tra i colleghi che si mettono al lavoro per sfruttare l'informazione e fare soldi". Altre banche non dispongono di queste buone informazione, e se i singoli banchieri le hanno tendono a non condividerle, perché le considerano una potente arma da usare a proprio esclusivo vantaggio. "La Goldman non lavora in questo modo" continua il dirigente "Domina uno spirito di corpo". O come preferisce dire un banchiere rivale "Sono una furba banda di teppisti".
Dane Holmes - 39 anni, 185 centimetri, 130 chili, ex giocatore di basket-ball – è il responsabile dei rapporti con gl'investitori. Da l'impressione di poter travolgere chiunque si trovi sulla sua strada – e persino un solido muro! Ma sostiene: "Non è così che lavora la Goldman. Agendo da solo potrete avere uno splendido futuro come banchiere, ma non qui. Il sistema elimina coloro che non sono capaci di operare in gruppo".
Quando la Goldman persegue un obiettivo, tutti i componenti del team hanno la loro parte da svolgere. Prendete quest'articolo. Quando la banca ha accettato l'intervista non è stato facile trovare un alto dirigente da intervistare. Michael Sherwood, 44 anni, corresponsabile europeo, è rientrato, via Mosca, dalla riunione del FMI a Instabul al quartier generale di Londra per un'intervista di 40 minuti, prima di ripartire per incontrare alcuni clienti del Golfo.
L'idea del lavoro in gruppo arriva in alto. La Goldman non è un partner privato (è diventato pubblico una decina di anni orsono) ma i capi lavorano duro per far passare un approccio familiare "ci siamo dentro anche noi". Altri dicono che sembra piuttosto un culto, ma viene considerato un complimento. Alcune procedure sono perfettamente logiche. I bonus, ad esempio, non sono legati alle prestazioni personali, come in molte altre banche, ma a quelle della banca nel suo insieme, e i partner ricevono a una buona percentuale delle remunerazioni in azioni che possono vendere solo quando lasciano la Goldman. Viene così eliminata quella che Dina Powell, la trentaseienne d'origine egiziana a capo del ramo filantropico della Goldman, chiama gli "stronzi egomaniaci" che potrebbero essere tentati dall'idea di operare allo scoperto nella speranza di ottenere bonus più elevati.
Altre procedure sono inquietanti. Lo staff è costretto ad ascoltare la posta vocale protetta mattino, mezzogiorno e sera per gli ultimi consigli di Blankfein e Eileen Dillon, il quarantottenne ufficialmente responsabile delle operazioni dell'ufficio operativo ma ufficiosamente consigliere. La Goldman è la maggior utilizzatrice di posta vocale al mondo e le informazioni vanno dalle ultime cifre su perdite e profitti al rapporto su quello che i responsabili operativi dei principali clienti hanno detto a Blankfein e ai suoi collaboratori a colazione, o a istruzioni tipo "in nome del cielo, staccate tutto in vacanza".
Cosa spinge persone tanto brillanti da poter fare qualsiasi cosa vogliano a lavorare giorno e notte per la banca? Il denaro, naturalmente. Non a caso la Goldman Sachs è soprannominata "Goldmine Sachs" (la miniera d'oro Sachs). C'è tanta ricchezza in giro che in un anno normale un buon partner di una banca d'investimenti ricava sui 3,5 milioni di dollari, un buon trader tra i 7 e i 10 milioni, e un membro del comitato di gestione tra i 15 e i 25 milioni. Nel 2008, 953 dipendenti hanno ottenuto bonus di almeno 1 milione di dollari. Blankfein ha un bel dire che è ancora un semplice lavoratore, ma possiede un appartamento da 30 milioni di dollari in Central Park West e una villetta di 600 metri quadrati a Hamptons, il ritrovo estivo dell'elite di New York. Un ex banchiere della Goldman descrive la cultura d'impresa "totalmente ossessionata dal denaro. Ero come un asino dinanzi al quale veniva fatta ondeggiare la più grossa e appetitosa carota che si possa immaginare. I soldi sono il parametro per misurare il vostro successo, e c'è sempre spazio per accumularne ancora di più: se non state pensando a una casa più grande o a una barca più lunga state rimanendo indietro. È come una droga". Droga è la parola che usa anche Sherwood, che sa di cosa parla: è al suo secondo super yacht dal costo di vari milioni di sterline. "Mi piacciono le barche" ci dice. Non i velieri, le barche. È il suo modo per mettersi sulla stessa lunghezza d'onda di Sir Philip Green, un amico miliardario che trascorre parte dell'anno sul Lionheart, uno yacht di 60 metri e dal valore di 32 milioni di sterline, ancorato nella baia di Monaco. "Quante barche ho comprato?" dice Sherwood "Non è il momento migliore per rispondere".
Ma esiste anche un'altra potente molla: il dubbio. Può darsi che all'85 di Broad Street domini l'arroganza, e in privato Blankfein ama scherzare (ma non poi tanto) sul fatto che "ha raggiunto la perfezione". Ma al di là di queste bravate lo staff della Goldman s'interroga costantemente sulle proprie capacità. "C'è una profonda e continua paranoia in tutto quello che facciamo" dice Sherwood. Ed è vero per i risultati dei singoli ma anche per le prospettive della banca nel suo assieme.
L'insicurezza è profondamente radicata nel sistema, e la percepite prima ancora di essere assunti. La maggior parte dei candidati viene intervistata almeno 20 volte, e in alcuni casi anche 30, prima di ricevere un'offerta. Una volta assunto ciascun membro dello staff viene ininterrottamente e costantemente sorvegliato dai suoi colleghi. C'è un metro di giudizio per ogni aspetto delle prestazioni ottenute, e tutti vengono misurati nel contesto della propria divisione e della struttura globale. Ogni anno la divisione Human Capital Management (si noti il termine Capital; alla Goldman la gente è denaro) posiziona ciascun dipendente in uno dei quattro quartili. Quelli più in alto vengono doviziosamente premiati. Ma cosa ne è di quelli più in basso? Chi li prende in considerazione? Non saranno in circolazione ancora per molto: si è dentro o si è fuori. "Ogni anno licenziamo il 3-5% del personale (all'incirca 1.500 persone) al livello più basso" dice Richard Gnodde, 49 anni, corresponsabile delle operazioni in Europa, basato a Londra.
Prendere gente del livello superiore, farla sentire come appartenente al livello inferiore e infilarla in un gruppo che lavora spasmodicamente ogni santa ora che Dio – pardon, Goldman – ci concede, è importante, non c'è dubbio. Ma non è l'asso nella manica della banca. L'asso nella manica è la sua straordinaria capacità di gestire una rete, la più grande rete di talenti al mondo. A differenza di altre banche, i più capaci vengono incoraggiati a darsi da fare, rastrellare tutti i soldi di cui potranno avere bisogno in futuro e poi andarsene per "lavorare bene". La permanenza media dei partner è di otto anni. "Non vi fate certo assumere per arrivare alla pensione" dice un dipendente "Avete la vostra opportunità per arricchirvi e poi per togliervi dai piedi". Ma "lavorare bene" non significa gestire un ospedale a Kinshasa per lottare contro l'aids; significa occupare i posti più importanti nelle istituzioni finanziarie, le banche centrali e le borse di tutto il mondo. L'elenco di ex dirigenti della Goldman che hanno occupato posti chiave nell'amministrazione statunitense e negl'istituti più importanti di New York e di Washington lascia a bocca aperta: Robert Rubin (segretario del tesoro all'epoca di Clinton), Hank Paulson (segretario del tesoro all'epoca di George Bush), William Dudley e Stephen Friedman (attuale presidente ed ex direttore generale della New York Federal Reserve), Mark Patterson (capo dello staff del segretario del tesoro Timothy Geithner), Joshua Bolten (capo dello staff all'epoca del presidente Bush), Robert Hormats (consigliere economico del segretario di stato Hillary Clinton), Gary Gensler (direttore dell'US Commodity Futures Trading Commission), Reuben Jeffery /sottosgretario di stato per gli affari economici e agricoli all'epoca di Bush), John Thain e Duncan Niederauer (il precedente e l'attuale capo della New York Stock Exchange), Adam Storch (capo operativo alla Securities and Exchange Commission). Inoltre Michael Paese, il nuovo responsabile della lobby della Goldman a Washington, ha lavorato per Barney Frank, il congressista che presiede l'House Financial Services Committee. Per vedere le cose nella giusta luce, immaginate cose succederebbe se il cancelliere Alistair Darling e i suoi principali consiglieri Mervyn King (governatore della Bank of England), Xavier Rolet (capo della London Stock Exchange) e Hector Sants ( capo della Financial Services Authority) avessero lavorato nella stessa banca prima di entrare nel governo. Non c'è da stupirsi se uno dei soprannomi della Goldman è "Government Sachs".
I critici dicono che avere amici ben piazzati fornisce alla banca la forza vitale. I funzionari governativi che occupano posti chiave, sostengono, discutono privatamente le politiche messe in atto più con la Goldman che con le altre banche. Nel suo nuovo libro "Too Big to Fail", Andrew Ross Sorkin descrive una riunione. Al momento di passare dalla banca al ministero del tesoro statunitense, Paulson, il predecessore di Blankfein, si era impegnato a non discutere con la Goldman, ma a giugno dello scorso anno si era trovato a Mosca mentre il consiglio di direzione della Goldman era a pranzo con Mikhail Gorbachev. Dato che si trattava di un "evento sociale" i legali del ministero autorizzarono Paulson a incontrare i suoi vecchi colleghi, che vennero gratificati con racconti sulla sua permanenza al ministero e con previsioni sull'economia globale. Il consiglio della Goldman gli chiese cosa ne pensasse della possibilità che un'altra banca fallisse, come la Bear Stearns. Documenti resi pubblici recentemente dimostrano che pochi mesi più tardi, quando, nel momento culminante della crisi, quando Paulson stava lavorando al salvataggio dell'AIG, il nome di Blankfein appare 24 volte in 6 giorni sul listato delle chiamate telefoniche di Paulson. Le grandi banche, inclusa la Goldman, che possedevano contratti assicurativi con l'AIG vennero rimborsate interamente, invece che con 60 cents a dollaro come avevano chiesto insistentemente i negoziatori dell'AIG, lasciando intravedere la possibilità di un "accordo amichevole" tra Paulson e Blankfein.
La Goldman respinge con forza l'idea che la presenza di tanti ex dipendenti nei posti chiave del mondo politico le permetta di ricevere un trattamento di favore. "Sono persone di estrema integrità" afferma Sherwood, ma la riunione di Mosca e le trattative sull'AIG permettono di dubitarne, per dirla in modo gentile.
Più tempo passate all'85 di Broad Street più vi convincete che la Goldman sta sfruttando al meglio la globalizzazione. Nei settori finanziario e governativo, dispone degli esperti migliori, più aperti e più impegnati nel loro lavoro. Lo ammettono anche i critici, secondo i quali, però, i ben oleati ingranaggi permettono loro di ottenere molto più del semplice successo, cosa della quale la banca è poco propensa a parlare. Anche se sanno gestire bene i rischi e sono capaci di uscire dai mercati al momento giusto, i maghi della banca hanno la loro buona parte di colpa nel gonfiare le bolle speculative - dot.com, azioni, immobiliare – e, continuano i critici, hanno contribuito ad aumentarle con offerte azionarie ai grossi clienti e con la commercializzazione di obbligazioni e azioni prima di fare marcia indietro.
I detrattori accusano inoltre le divisioni negoziazione e investimenti di "giocare sulle due sponde" del mercato. La Goldman negozia titoli per le grandi aziende e per i fondi pensione. Opera inoltre come consulente per molte società di cui negozia i titoli. Ciò significa che sa perfettamente quello che stanno facendo sul mercato. Diciamo che un investitore contatta la Goldman e che vuole comprare nel mercato petrolifero: la banca può fornire una previsione accurata di cosa probabilmente succederà, perché sa cosa le aziende del settore sue clienti stanno facendo, proprio in base ai consigli da lei forniti, e quali altri grandi investitori stanno operando. E questo significa anche che la banca può condurre al meglio le sue stesse operazioni petrolifere. I critici paragona la situazione a un grande casinò, nel quale la casa conosce tutte le mani di ogni tavolo e usa l'informazione per arricchirsi a spese di tutti i giocatori. La Goldman respinge le accuse di "capitalismo da roulette": quante più informazioni sono nelle sue mani, sostiene, tanto meglio può consigliare le società clienti e tanto meglio può far coincidere le esigenze di compratori e venditori, ottenendo i migliori prezzi del mercato. E nega con forza l'accusa di profittare delle informazioni o di agire in maniera eticamente scorretta. Una insuperabile barriera tra trader e consulenti impedisce qualsiasi conflitto d'interessi. Le regole sono talmente severe che se un banchiere della divisione investimenti tentasse di usare il suo pass elettronico per entrare in uno dei piani della divisione trading, non solo si vedrebbe rifiutare l'accesso ma verrebbe convocato per fornire spiegazioni.
Quale che sia la formula usata, una cosa è sicura: la Goldman ha evitato la bolla creditizia e sta venendo fuori dalla crisi più forte che mai. Le spoglie al vincitore. Ma molti non sono convinti che una Goldman più forte e più furba sia necessariamente un bene. Vince Cable mette in guardia: "Se c'è qualcosa che abbiamo imparato è che le banche dispongono di un potere eccessivo sui consumatori e i governi. La Goldman Sachs non è mai stata così potente, e questo dovrebbe allarmarci".
I leader mondiali e i responsabili finanziari stanno cercando di mettere a punto piani per limitare la libertà d'azione di banche come la Goldman e di definire un tetto per gli stipendi pagati ai dipendenti. Non crederete certo che si tratti di una battaglia a gusto di Blankfein, con la sua incrollabile fiducia nella purezza ed efficienza del mercato libero. Ma la cosa divertente è che la sta combattendo, perché pensa che renderà l'attività delle banche più sicura e permetterà alla Goldman di guadagnare ancora di più in futuro.
"Gli orientamenti governativi elaborati fino ad oggi vanno nella giusta direzione" sostiene. Pagare il personale in base alle prestazioni e dare come bonus azioni vincolate e liquidi per garantire il successo a lungo termine è "auspicabile ed è qualcosa che già facciamo". "Ingordigia, ma a lungo termine"; è così che i responsabili dell'istituto descrivono le politiche d'investimento e pagamento. Blankfein sostiene le proposte per garantire una migliore capitalizzazione delle banche. "Se prima non capivamo i limiti di un capitalismo scatenato, adesso invece ne siamo coscienti. Ogni proposta per rendere il sistema migliore e più sicuro è benvenuta". Avrebbe potuto aggiungere: solo, non imponete tasse sui guadagni.
Per Blankfein, alla fine, tutto si riduce a una cosa: trovare la migliore, più veloce e più sicura maniera di guadagnare soldi, poi aggiungerci altri soldi, e condire il tutto con altri soldi. Non è interessato a un'analisi della realtà ma solo a sostanziose entrate per i suoi clienti, la sua banca, il suo personale, i suoi azionisti, e in ultima analisi, pensa, per noi. La sua quasi religiosa devozione per il dogma finanziario si è esternata in una secca dichiarazione proprio quando stavo per uscire da quell'edificio anonimo e ritrovarmi immerso nel tramonto autunnale. Prima di andarmene gli ho fatto una domanda per rispondere alla quale, in questo tempi agitati, tutti, dal tipo in strada che vende panini al chili per 99 centesimi al fantamiliardario re di Wall Street che lavora 30 piani più su, si sarebbero fermati un attimo a riflettere, per poi magari fornire una risposta equivoca: è possibile accumulare troppi soldi?
"È possibile essere troppo ambiziosi? È possibile avere troppo successo?" sibila Blankfein "Non voglio che quelli che lavorano in questa banca pensino di aver fatto tutto quello che era in loro potere e se ne vadano in vacanza. Devo proteggere gl'interessi degli azionisti, e ovviamente della Goldman: non voglio quindi porre un limite alla loro ambizione, e mi risulta difficile pensare a un limite per i loro guadagni".
Allora, affari come sempre, senza preoccuparsi della rabbia della maggior parte della gente? Goldman Sachs, pilastro del libero mercato, creatore di supercittadini, oggetto d'invidia e timori, continuerà a diventare più ricca di Dio? Un rapido ghigno sulla faccia di Blankfein. Definitelo una persona ricca e facoltosa che si burla della gente. Definitelo un perfido. Definitelo come volete. Ma è solo, ci dice, un banchiere che "sta facendo il lavoro di Dio".
Come accumulano i loro soldi
Può darsi che il nome Goldman Sachs non significhi gran cosa per voi. Ma se intrattenete rapporti bancari con la HSBC, usate il gas per cucinare, comprate via Ocado, guardate Grande Fratello, comprate i vostri capi di abbigliamento da Gap, usate un sistema di navigazione satellitare TomTom, o più semplicemente assaporate un panino al formaggio, allora la Goldman fa parte della vostra vita.
La struttura, composta da tre divisioni, è una banca d'investimenti che raccoglie capitali per i clienti e qualche volta investe fondi propri. Nel Regno Unito ha raccolto capitali per la HSBC, Centrica (proprietaria di British Gas), e Ocado, il sito della Waitrose per la vendita online di prodotti alimentari, con un giro di affari annuo di oltre 400 milioni di sterline.
Ha aiutato a finanziare la Endemol, la società che ha creato il grande Fratello, ed è il più importante investitore individuale di Eurotunnel. Si è occupato di struttura azionaria per la TomTom e J Crew. È la banca di Gap. Ha ristrutturato Premier Foods, uno dei cui rami è la fabbrica di sottaceti Branston. La Goldman è anche una trading house; commercia materie prime (ad esempio petrolio e oro), azioni e debiti societari. La terza divisione si occupa di gestione patrimoniale. Gestisce beni per conto dei fondi di pensione, le società di assicurazione e di patrimoni individuali. Guadagna caricando pesanti spese (di solito il 2-4%) alle aziende e ai clienti che assessora e di cui gestisce i patrimoni, o negoziando coi fondi propri, attività tradizionale sin dagli inizi.
La banca venne fondata a New York nel 1869 da Marcus Goldman, un ebreo immigrato dalla Bavaria, cui si associò più tardi il genero Samuel Sachs. Esclusa dal chiuso mondo protestante dei trader di azioni e obbligazioni, la Goldman si scavò una proficua, anche se poco esaltante, nicchia comprando e vendendo titoli di credito a breve. Alla fine del secolo, guidava il mercato dell'offerta primaria di azioni, compiendo i primi passi sul mercato azionario di aziende blue-chip come la Sears e la Ford.
Avendo dovuto cominciare al di fuori del rassicurante mondo di Wall Street, la Goldman assunse le persone più furbe e attive che le fu possibile trovare, capaci di sfruttare le trappole del mercato, sottrarre affari ai rivali e guadagnarsi l'appoggio di amici ben piazzati. Sotto la guida di Sidney Weinberg, responsabile esecutivo dal 1930 al 1969, la banca trasformò i migliori laureati in un gruppo ad-hoc capace di lavorare 24 ore al giorno per i clienti.
Superlavoro, superstipendi, supertutto
La Goldman Sachs sarà pure una banca di Wall Street, ma il suo ruolo e la sua influenza a Londra sono notevoli. Nell'ufficio di Fleet Street, composto dalle antiche sedi di due giornali poi unificate, lavorano circa 5.500 persone. I trader siedono dove una volta le presse stampavano The Daily and Sunday Telegraph e The Daily and Sunday Express. È la banca della City coi maggiori utili: dal 2000 al 2008 i profitti per dipendente si sono aggirati sulle 181.000 sterline all'anno, e quest'anno lo stipendio medio dovrebbe arrivare alle 458.000 sterline. È uno dei principali contribuenti della City.
Quest'anno il cancelliere Alistair Darling si aspetta d'incassare oltre 2 miliardi di sterline in tasse societarie, IVA e imposte.
Lo staff gode di generosi benefici. L'azienda ha un apposito responsabile per essere sicura che gli ospiti possano mangiare e bere coi partner della Goldman in perfetto stile e al riparo da occhi indiscreti. C'è una sala di ginnastica, un'infermeria e un asilo. Ogni dipendente riceve d'ufficio un'assicurazione sanitaria e può prendere un tassì ogni volta che lo considera opportuno. La notte un serpente di tassì in attesa si snoda fin sul retro dell'edificio.
L'ufficio londinese è gestito da Michael Sherwood (sopra) e Richard Gnodde. Sherwood, conosciuto come Woody, è il duro. L'ex trader sembra volersi rifare come modello al suo buon amico, il miliardario Sir Philip Green. Parla rapidamente e senza perifrasi.
Come per Sir Philip, il suo sfacciato modo di condurre affari permette di dare
il meglio. Nel 2006 la British Airports Authority chiese alla Goldman di
studiare il modo migliore per respingere un'offerta di acquisto ostile di
Ferrovial, il gigante spagnolo della costruzione. La Goldman, il cui team
includeva Sherwood, rispose che una tattica avrebbe potuto essere quelle di
vendere la BAA alla stessa Goldman. La proposta indignò la BAA e spinse Hank
Paulson, all'epoca CEO della Goldman, a mandare un severo messaggio che
censurava i responsabili coinvolti. La lettera divenne nota come "the spank from
Hank".
Al contrario Gnodde è un banchiere d'investimento soave. Sembra come se venisse fuori da un catalogo d'abbigliamento per uomo degli anni '70. Rappresenta il guanto di velluto (o dovremmo dire cashmere?) che ricopre il pugno di ferro di Woody. È conosciuto per aver consigliato il signore dell'acciaio indiano Lakshmi Mittal nella sua offerta da 17 miliardi di sterline per l'acquisizione del produttore europeo Arcelor.
Sherwood e Gnodde sono consigliati da eminenze grige, ad esempio Lord (Brian) Griffiths, a suo tempo consigliere speciale di Margaret Thatcher e responsabile dell'unità politica del primo ministro dal 1985 al 1990 e antico direttore della Bank of England. Si tratta di uno dei consiglieri internazionali della banca, ma opera anche da consigliere spirituale. "Una volta venne da me un dipendente; pensavo che volesse parlarmi della sua carriera, ma in realtà era venuto a discutere l'etica bancaria. Fu una lunga conversazione", ricorda Griffiths.
Cristiano impegnato e sostenitore del Lambeth Fund dell'arcivescovo di Canterbury, Griffiths è un utile strumento di pubbliche relazioni. È stato lui, ad esempio, a parlare il mese scorso in difesa dei superbonus. "Se dicessimo che non ci saranno superbonus, o bonus dello stesso livello degli anni scorsi, un sacco di aziende della City sposterebbero le loro operazioni in Svizzera o in Medio oriente", ha proclamato nella St Paul’s Cathedral.
Ogni anno, nel periodo dei bonus, Sherwood e Gnodde invitano lo staff a mantenere un profilo basso e a non ostentare la loro opulenza. Quasi tutti lo fanno e investono i loro milioni in beni immobili, soprattutto in zone esclusive di Kensington, Regent’s Park, Fulham, Notting Hill Gate, Chelsea, Highgate e Hampstead. Per molti anni un partner, Julian Metherell, se ne è andato allegramente in giro in una scassata Nissan Sunny rossa.
Ma non tutti i pezzi grossi della Goldman riescono ad evitare la luce dei riflettori. Un intramontabile racconto degli anni d'oro racconta che tre dirigenti londinesi, (Scott Mead, Jennifer Moses e suo marito, Ron Beller) avevano una tale liquidità da non rendersi conto che un assistente, Joyti De-Laurey, aveva alleggerito i loro conti correnti di oltre 4 milioni di sterline.
I pezzi grossi della Goldman mandano i ragazzi alle stesse scuole private, e se non amano quella nella loro zona, ne creano una. Mead è stato il cofondatore di una scuola preparatoria a Notting Hill, con 200 studenti tra i 4 e i 14 anni. Anche le mogli dei funzionari della Goldman Sachs adottano un profilo basso e si dedicano alle opere di carità.
Come negli USA, la banca è in stretto contatto col governo. L'ex capo economista e partner, Gavyn Davies, è spostato con Sue Nye, consigliere speciale di Gordon Brown. Ai tempi di Tony Blair, Davies divenne direttore della BBC. Il suo successore alla Goldman come capo economista, David Walton, aveva un posto nel Monetary Policy Committee della Bank of England. Paul Deighton, che dirige il comitato organizzatore dei giochi olimpici di Londra, era capo operazioni della Goldman.
La Goldman è un consulente bancario fondamentale del governo. L'anno scorso Brown affidò alla banca la consulenza per la vendita della Northern Rock.
Amici nei posti chiave. La rete politica della Goldman
Segretari del tesoro statunitense, capi del New York Stock Exchange, consulenti della Casa Bianca e di Downing Street: chiunque abbiate in mente ha lavorato per la Goldman Sachs. Ecco solo alcuni degli alti papaveri della banca che hanno le mani in pasta nella politica mondiale
Sue Nye/Gordon Brown
Consigliere speciale di Gordon Brown, Nye è sposata con Gavyn Davies, l'ex capo economista e partner della Goldman. All'epoca di Tony Blair, Davies divenne presidente della BBC, carica dalla quale rassegnò le dimissioni nel 2004, dopo il rapporto Hutton.
Robert Rubin/Bill Clinton
Rubin ha passato 26 anni alla Goldman prima di entrare nell'amministrazione Clinton come consigliere economico. Ha lavorato come segretario al tesoro per quattro anni dal 1995, e continua ad essere consigliere del presidente Barack Obama
Hank Paulson/George Bush
Paulson è stato CEO della Goldman prima di divenire segretario al tesoro USA. Nel momento culminante della crisi creditizia, quando Paulson stava lavorando al salvataggio dell'AIG, il nome di Blankfein appare 24 volte in 6 giorni sul listato delle chiamate telefoniche di Paulson.
Larry Summers/Barack Obama
Summers, consigliere economico di Obama, non ha mai lavorato direttamente per la Goldman, ma ha fatto parte del governo Clinton alle dipendenze del suo mentore, Robert Rubin. La Goldman pagò 135.000 a Summers per partecipare a una conferenza di un giorno nel 2008, prima dell'avvento di Obama.
Sachs nella City
Michael Sherwood: vice presidente e corresponsabile esecutivo della Goldman Sachs International. Conosciuto come Woody, è noto per le sue capacità di trader. Nel 2008 il suo salario di base è stato di 415.000 sterline.
In un anno favorevole può ragionevolmente attendersi che i bonus facciano lievitare la somma a un totale di circa 6.000.000 di sterline. È uno dei due boss della sede di Londra.
Richard Gnodde: corresponsabile esecutivo della Goldman Sachs International. Nel 2008 il suo salario è stato di 1,3 milioni di sterline, probabilmente in parte sotto forma di bonus. Si ritiene che nel 2007 sia stato il direttore più pagato a Londra, con un totale di 11,7 milioni di sterline. L'altro anno lo stipendio ha subito una riduzione del 90%.
Matthew Westerman: responsabile globale dei mercati dei capitali. Nel 2009 i bonus dovrebbero permettergli di mettersi in tasca oltre 5 milioni di sterline. Ex banchiere della Rothschild, ha fatto le sue prove negli anni '30 con le fluttuazioni dei mercati azionari in Europa. Nel 2000 è stato assunto dalla Goldman Sachs per dirigere la nuova divisione affari europei. Quest'anno ha partecipato alla raccolta di capitali societari, permettendo alla Goldman di scremare lauti profitti. È quindi in lista per un sostanzioso bonus.
Yoel Zaoui: capo della banca europea d'investimenti. Nel 2009 incasserà probabilmente oltre 5 milioni di sterline. Dipendente fin dal 1988. Zaoui ha avuto un'ascesa fulminante, ottenendo l'ambita partnership in soli 10 anni. Ha avuto spesso scontri verbali con Michael, il fratello maggiore che ha ricoperto un ruolo equivalente nella banca concorrente Morgan Stanley.
Karen Cook: direttore della Goldman Sachs International e presidente della Goldman Sachs Europe, nel 2009 il salario e i bonus di Cook dovrebbero superare i 5 milioni di sterline. Madre di sei figli, è stata corresponsabile della finanzia aziendale in UK presso la banca Schroders prima di passare alla Goldman nel 1999. Ha partecipato in acquisizioni multimiliardarie, ad esempio quella da 10,2 miliardi di sterline della Kraft. A cura di Philip Beresford
La forza dei numeri
Nel 2007, Lloyd Blankfein, boss della Goldman Sachs, ha guadagnato 68 milioni di dollari, un vero primato per un CEO di Wall Street. Un buon specialista d'investimenti può arrivare a 3,5 milioni all'anno, un buon trader a 7-10 milioni, un membro del comitato di direzione a 12-15 milioni.
La Goldman non è la più grande banca al mondo. La ICBC, the Industrial and Commercial Bank of China, ha un numero di dipendenti 11 volte superiore, ma non è la più ricca. La HSBC ha 2,4 trilioni di dollari di beni patrimoniali (la Goldman solo 1 trilione). E non è la più importante per capitalizzazione di borsa. Vale 95 miliardi di dollari rispetto ai 201 della 201 HSBC. Ma è la più redditizia.
La Goldman ha il miglior rapporto dipendente/profitti di qualsiasi concorrente: in media 222.000 dollari all'anno nel periodo 2000-2008. Nello stesso periodo, la JP Morgan Chase, la più vicina rivale, ha avuto un profitto annuo di 133.000 dollari per dipendente.
Nel secondo trimestre dell'anno in corso, i profitti della Goldman hanno raggiunto la cifra record di 3,4 miliardi di dollari.
Ora vediamo come Mario Monti, è collegato con la Goldman Sachs. Nei giorni scorsi Le Monde ha scritto che la Goldman Sachs rappresenta il lato ombra di Mario Draghi, ex governatore della Banca d’Italia e attuale presidente della Bce. Alla lista va aggiunto anche Mario Monti. Vediamo perché.
La Goldman Sachs è la più potente banca d’affari americana, che condiziona mercati e governi. Ha detto la verità il trader indipendente Alessio Rastani, prendendosi gioco della Bbc e rilasciando un’intervista in cui dichiarava che “i governi non governano il mondo, Goldman Sachs governa il mondo”. Nel film Inside Job, del regista Charles Ferguson, la banca d’affari risulta tra le protagoniste della crisi economica innescata nel 2008 negli Stati Uniti. Ma è interessante notare come gli uomini della Goldman hanno ricoperto incarichi importanti nell’amministrazione Usa, arrivando a ruoli di primo piano. Durante l’amministrazione Clinton l’ex direttore generale della Goldman Sachs, Robert Rubin, divenne sottosegretario al Tesoro. Nel 2004, Henry Paulson, amministratore delegato dalla Goldman, fece approvare alla Commissione dei Titoli e Scambi un aumento dei limiti sul rapporto di indebitamento, permettendo alle banche d’investimento di avere ulteriori prestiti da utilizzare per manovre di speculazione. Nel 2005 Raghuram Rajan, capo economista del Fondo Monetario Internazionale (2003-2007) pubblicò un rapporto in cui annunciava il rischio che le società finanziarie, assumendo grandi rischi per realizzare enormi profitti a breve termine, avrebbero potuto far collassare il sistema economico. Nella prima metà del 2006 la Goldman Sachs vendette 3,1 miliardi di dollari di Cdo e in quel periodo l’amministratore delegato era proprio Henry Paulson. Il 30 maggio 2006 George Bush lo nominò segretario del Tesoro e fu costretto a vendere le sue azioni della Goldman, intascando 485 milioni di dollari (e grazie a una legge di Bush padre non pagò nessuna tassa).
Nell’aprile del 2010 i dirigenti della Goldman Sachs furono costretti a testimoniare al Congresso americano: Daniel Sparks, ex capo reparto mutui della Goldman (2006-2008) dovette riferire su alcune email in cui definiva certe transazioni “affari di m…”. Fabrice Tourre, direttore esecutivo prodotti strutturati della Goldman Sachs vendeva azioni che definiva “cacca”. Llyod Blankfein, presidente di Goldman, e David Viniar, vicepresidente esecutivo, sotto le pressanti domande del senatore Carl Levin furono costretti ad ammettere che sapevano di vendere spazzatura.
Purtroppo anche Barack Obama ha confermato il potere della banca d’affari. Il nuovo presidente della Federal Reserve Bank di New York (principale azionista della Fed) è William Dudley, ex capo economista della Goldman (che nel 2004 lodava i derivati). Capo del personale del dipartimento del Tesoro è Mark Patterson, ex lobbista della Goldman Sachs. A capo della Cfct si è insediato Gary Gensler, ex dirigente della Goldman Sachs che aiutò ad abolire la regolarizazione dei derivati.
Anche in Europa la Goldman manovra da tempo. Nel 1999 la Grecia non aveva i numeri per entrare nell’euro. Quindi truccò i bilanci. Su Presseurope Gabriele Crescente scrive: “Nel 2000 Goldman Sachs International, la filiale britannica della banca d’affari americana, vende al governo socialista di Costas Simitis uno “swap” in valuta che permette alla Grecia di proteggersi dagli effetti di cambio, trasformando in euro il debito inizialmente emesso in dollari. Lo stratagemma consente ad Atene di iscrivere il ‘nuovo’ debito in euro ed escluderlo dal bilancio facendolo momentaneamente sparire. E così Goldman Sachs intasca la sua sostanziosa commissione e alimenta una volta di più la sua reputazione di ottimo amministratore del debito sovrano.”
Ora torniamo a Mario Draghi. Dal 2002 al 2005 è stato vicepresidente e membro del management Committee Worldwide della Goldman Sachs. Insomma: proprio nel periodo in cui in America le banche d’affari erano scatenate in manovre speculative e scavavano il baratro finanziario che si è materializzato nel 2008, trascinando il resto del mondo. Non sapeva nulla di queste tendenze l’economista italiano?
Anche Mario Monti lavora per la banca d’affari: dal 2005 è International Advisor per Goldman Sachs e precisamente membro del Research Advisory Council del “Goldman Sachs Global Market Institute”. Cioè dall’anno in cui si stava progettando la crisi economica mondiale, di cui parlerò in una conferenza gratuita.
Queste informazioni, purtroppo, la stampa italiana le ha ignorate. Ma la Rete no. Durante la seconda puntata di Servizio Pubblico il blogger Claudio Messora ha spiegato il rapporto tra Mario Monti e la Goldman. E ha citato un articolo di Milano Finanza che – unica eccezione – ha rivelato il ruolo della Goldman Sachs nel rialzo dello spread dei titoli italiani in questi giorni. In pochi minuti su Facebook è cambiata l’opinione degli utenti all’interno di un sondaggio: prima volevano Monti presidente del Consiglio, dopo le rivelazioni hanno cambiato idea. E’ la prova che se l’informazione facesse il suo dovere avremmo meno lobby al potere e più democrazia.
Ma allora chi è questo Mario Monti?
Presidente europeo della Commissione Trilaterale, un gruppo di interesse di orientamento neoliberista fondato nel 1973 da David Rockefeller membro del comitato direttivo del Gruppo Bilderberg. Dal 2005 è International Advisor per Goldman Sachs. Cosi, abbiamo ora la possibilità di comprendere con maggiore chiarezza quale ruolo ha nella faccenda del salvataggio dell’Italia, nel quadro della crisi Europea, da un punto di vista politico e da quello economico, questa manovra tecnica.
Parliamo quindi, di una delle più potenti banche d’affari
del mondo, quella che ha messo in ginocchio la Grecia. Come? Ecco come: Nel
2002 Goldman Sachs acquistò segretamente 2,3 miliardi di debito del governo
greco, lo convertì in yen e in dollari, e poi lo rivendette immediatamente alla
Grecia. Goldman prese una grossa somma in questo
scambio. Goldman era così stupida? Goldman è stupida, come una
volpe.
Lo scambio era una fregatura, con Goldman che stabilì
un fasullo e ridicolo tasso di cambio per la transazione. Perché?
Goldman fece un accordo segreto con il governo greco
allora in carica. Il gioco: nascondere un forte
passivo di bilancio. La finta perdita di Goldman era allo stesso tempo un
finto guadagno del governo greco. ( Due finte per una sola realtà. Ottima
equazione. ) Goldman avrebbe avuto indietro le sue “perdite” concedendo al
governo un prestito a tassi da usuraio. Con questo
folle e costoso raggiro, il governo di destra fautore del libero mercato fu in
grado di poter dire che il suo deficit non aveva mai sorpassato il tre per cento
del PIL. Forte. Una cosa sporca, ma davvero abile. Ma le fandonie
non costano poco, di questi tempi: oltre al pagamento per gli interessi
assassini, Goldman imputò ai greci più di un quarto di miliardi di dollari di
tasse. Quando salì al potere il nuovo governo dei socialisti di George
Papandreou, aprirono i bilanci e i pipistrelli di Goldman se ne volarono via.
Gli investitori andarono su tutte le furie, chiedendo così tassi di interesse
iperbolici per prestare altri soldi in modo da restituire questo debito. I
possessori delle obbligazioni greche, terrorizzati, corsero ad acquistare
un’assicurazione sulla possibile bancarotta del paese. Il prezzo per le
assicurazioni dei bond, chiamate credit default swap (o CDS), salì anch’esso
alle stelle. Chi ha fatto un bel po’ di soldi nel vendere i CD? Goldman.
E questi paracaduti marci, i CDS venduti da Goldman e da altri? Non sapevano che stavano passando ai propri clienti degli stronzoli placcati in oro? Si tratta di una specialità di Goldman. Nel 2007, mentre le altre banche stavano vendendo i CDS e i CDO sospetti, Goldman tenne una posizione “short” contro questi titoli. Infatti, Goldman stava scommettendo che i suoi "prodotti" finanziari sarebbero finiti nel cesso. Goldman riuscì a incassare un altro mezzo miliardo di dollari con loro imbroglio sullo "short". Ma, invece di ammanettare il CEO di Goldman, Lloyd Blankfein, e portarlo in parata in una gabbia per le strade di Atene, stiamo dando la colpa al popolo greco, la vittima della frode. Cornuto e mazziato. Lo spread sulle obbligazioni greche (il termine usato per il premio di rischio pagato sul debito corrotto della Grecia) è ora salito a – tenetevi pronti – 14.000 dollari per family all’anno.
Con il trucco e con l’inganno. Semplice. Due piccioni con una fava.
Wiki riporta la seguente definizione:
La The Goldman Sachs Group, Inc. è una delle più grandi banche d'affari del mondo, che si occupa principalmente di investimenti bancari e azionari, di risparmio gestito e di altri servizi finanziari, prevalentemente con investitori istituzionali (multinazionali, governi e privati).
Fondata nel 1869, ha sede legale al 200 di West Street, a Lower Manhattan, con filiali importanti anche nei principali centri finanziari mondiali (Londra, Francoforte, Tokyo, Hong Kong). È quotata al New York Stock Exchange.
Fornisce servizi di consulenza su piani di acquisizioni e fusioni fra aziende, su sottoscrizioni di titoli di debito, sulla gestione delle risorse finanziarie e sul prime brokerage, oltre che occuparsi di servizi di proprietary trading e private equity. È anche autorizzata al piazzamento di titoli di debito del Governo statunitense. Fra gli ex-dipendenti e gli ex consulenti più illustri, figurano i Segretari al Tesoro statunitensi Robert Rubin e Henry Paulson, il Governatore della Bank of Canada Mark Carney, il Governatore della Banca centrale europea Mario Draghi e il Presidente del Consiglio italiano Mario Monti.
Ecco la sua storia:
Fondata nel 1869 da Marcus Goldman, un tedesco di origini ebraiche immigrato negli Stati Uniti, la società acquisisce il nome Sachs quando nel 1896 a Marcus Goldman si unisce il genero Samuel Sachs e nello stesso anno viene quotata alla borsa di New York.
Agli inizi del 1900 la banca diviene la miglior guida per le società che vogliono quotarsi: ad esempio nel 1906 accompagna in borsa importanti società come Sears&Roebuck, e la banca sempre in quel periodo diviene la prima Banca di Wall Street a reclutare neolaureati tra le sue fila. A seguito del grande crack del 1929 la banca rischia quasi il collasso per via della grande esposizione assunta sul finire degli anni '20 sul mercato azionario, anche tramite fondi d'investimento venduti al pubblico, come il Goldman Sachs Trading Corporation, Shenandoah Corporation e Blue Ridge Corporation, dal funzionamento simile allo schema di Ponzi. La reputazione della Goldman Sachs ne soffre per diversi anni. Sul punto John Kenneth Galbraith scrisse: "l'autunno del 1929 fu forse la prima occasione in cui gli uomini riuscirono a truffare se stessi."[4]
Nel 1930 Sidney Weinberg assume il ruolo di Senior Partner e ristruttura la banca, riducendo la sua esposizione sui mercati azionari e focalizzandola verso i servizi ad aziende; attraverso questo processo la banca stringe forti legami con le più importanti aziende americane. Nel 1933 sviluppa una divisione di studio e ricerca sui Fondi d'Investimento, e nel 1934 un dipartimento sull'emissione di Bond Municipali.
Negli anni cinquanta, sotto la guida di Gus Levy, la banca sviluppa avanzate tecniche d'investimento come il Block trading[5], che consente di negoziare grandi quantità di titoli fuori dalle normali sessioni di mercato. Nascono nuovi elevati guadagni, e la banca decide di aprire nel 1956 la divisione Investment Banking, diventando la prima banca a vendere prodotti finanziari al pubblico. Sempre in quell'anno gestisce la quotazione in Borsa della Ford.
Negli anni ottanta la banca diviene consulente di molti governi intenti ad avviare processi di privatizzazione di aziende statali, e sempre in quegli anni acquisisce la J. Aron & Company per potenziare la propria presenza sul mercato delle materie prime. Nel 1986 viene quotata anche a Londra ed a Tokyo, e nel contempo gestisce la quotazione in borsa di Microsoft e assiste General Electric nell'acquisizione di RCA.
Negli anni novanta e duemila la banca ha continuato la sua espansione, potenziando la sua presenza sul mercato asiatico e portando in borsa società come Yahoo, NTT Docomo ecc.
Revolving doors
George W. Bush nomina alla carica di Segretario del Tesoro degli Stati Uniti l'amministratore delegato della Goldman Sachs Group, Henry Paulson, che succede a John William Snow (30 maggio 2006)
Diverse polemiche suscita, in generale e in particolare riguardo a Goldman Sachs, il fenomeno conosciuto come revolving doors (in inglese: "porte girevoli"), per cui determinate persone passano da responsabilità pubbliche a ruoli di vario genere all'interno della banca d'affari e viceversa, configurando un potenziale conflitto di interessi.
I casi più controversi riguardano il ruolo di diversi dirigenti nel contesto della crisi economica del 2008-2010, come ad esempio Henry Paulson: Segretario del Tesoro degli Stati Uniti dalla metà del 2006 al gennaio 2009, ha lavorato in Goldman Sachs a partire dagli anni settanta fino a diventarne direttore operativo (1994-1999) e amministratore delegato (1999-2006). Il lobbista della Goldman Sachs Mark Patterson è stato poi posto alla testa dello staff del Segretario del Tesoro Timothy Geithner, nonostante il presidente Barack Obama, nella sua campagna presidenziale, avesse promesso che l'influenza dei lobbisti nella sua amministrazione sarebbe stata fortemente ridimensionata. Nel febbraio 2011, il Washington Examiner riporta che Goldman Sachs nel 2008 ha intensamente finanziato la campagna presidenziale di Obama del 2008 e che il suo chairman Lloyd Blankfein ha visitato la Casa Bianca almeno dieci volte.[13]
Altri dirigenti di Goldman Sachs che hanno ricoperto ruoli pubblici negli USA:
Robert Rubin, Segretario al Tesoro degli Stati Uniti d'America dal 1995 al 1999, socio dal 1966 al 1992 della banca e co-presidente della stessa dal 1990 al 1992
Robert Zoellick, Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti d'America dal 2001 al 2005 e presidente della Banca Mondiale dal 2007, è stato managing director di Goldman Sachs dal 2006 al 2007
Joshua Bolten, capo di gabinetto della Casa Bianca di George W. Bush dal 2006 al 2009 è stato direttore esecutivo di Goldman Sachs International a Londra dal 1994 al 1999
Il dibattito sulle "porte girevoli" di Goldman Sachs si è riaperto in Europa in occasione delle crisi di governo nazionali di fine 2011, in particolare in Grecia e Italia. Alcuni hanno accusato la società di esercitare influenze poco trasparenti su economia e politica.[16] Altri hanno spiegato come sia comprensibile che persone che hanno ricoperto ruoli pubblici vengano assunte a diverso titolo da Goldman Sachs per la loro competenza o per il loro networking, non vedendo in questo nulla di strano (o al limite un fenomeno "non particolarmente commendevole"), e criticando come infondate le teorie tendenti al cospirazionismo.
Alcune persone notorie che hanno avuto rapporti a vario titolo con Goldman Sachs e che hanno assunto incarichi di rilievo in Europa sono:
Mario Draghi, Governatore della Banca d'Italia dal 2006 al 2011 e della Banca centrale europea dal 2011, è stato vicepresidente di Goldman Sachs per l'Europa dal 2002 al 2005. Gianni Letta, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri nei governi guidati da Silvio Berlusconi. Mario Monti, Commissario europeo dal 1994 al 2004 e Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana dal 2011, è stato consulente di Goldman Sachs. Lucas Papademos, primo ministro della Grecia dal 2011
Altre persone che nel corso della loro vita hanno avuto rapporti con Goldman Sachs e che hanno assunto rilevanti incarichi di governo: Mark Carney, governatore della Bank of Canada dal 2008 e presidente del Financial Stability Board dal 2001, ha lavorato per tredici anni alla Goldman Sachs.
Romano Prodi, presidente dell'IRI dal 1982 al 1989 e dal 1993 al 1994, Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana dal 1996 al 1998 e dal 2006 al 2008 e presidente della Commissione Europea dal 1999 al 2004, è stato consulente della banca d'affari dal 1990 al 1993 e dopo il 1997.
Massimo Tononi, sottosegretario all'Economia del secondo governo Prodi dal 2006 al 2008 e presidente di Borsa Italiana dal 2011, è stato partner e advisory director della banca d'affari.
Quindi Monti è una figura vicina, pericolosamente vicina a magnati del calibro del Re dei farmaci Rockefeller. E non solo, guardate i predecessori e i successori:
Romano Prodi, da consulente Goldman Sachs a Presidente del Consiglio in Italia
Mario Draghi, da Vicepresidente Goldman Sachs a Governatore della Banca d’Italia
Mario Monti, dalla Commissione Europea sulla concorrenza alla Goldman Sachs
Massimo Tononi, dalla Goldman Sachs di Londra a sottosegretario all’Economia nel governo Prodi del 2006
Gianni Letta, membro dell’Advisory Board di GS è nominato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio del governo Berlusconi (2008)
Viene dunque da pensare a un disegno neoliberista premeditato dai Potenti del Mondo, che si va compiendo in tutto il suo splendore. Progetto che ci ha incastrati dal momento in cui abbiamo abbandonato la nostra valuta per abbracciare l’euro? A giudicare da questo articolo, direi proprio che è abbastanza chiaro. Dunque anche Prodi non ce l’ha raccontata giusta? Siamo nelle mani di avvoltoi che detengono il potere economico planetario, e che hanno ridotto il nostro Paese al default. Impossibilitati a stampare moneta nazionale per rialzare l’economia italiana, succubi di una valuta comune che solo la BCE può emettere. ( BCE che appartiene per il 50% almeno a Germania e Inghilterra ). ( L’euro quindi è stata una moneta nuova per l’Europa, ma in verità una vecchia idea, poiché esso è stata copiata direttamente dal Marco Tedesco, assumendo da esso il suo valore massimo ( e inaccettabile ed iniquo ), di modo da indebitare tutti gli stati sovrani e metterli automaticamente in difetto, trovandosi essi automaticamente in svantaggio, non appena avessero accettata questa moneta, che altro non si è rivelata essere che un abile trucco per mandare in default gli stati Europei, metterli in crisi ed impadronirsi di essi uno alla volta.
Sarebbe bastato fissare il valore della moneta comune su un valore medio equo, e “la manovra Europa”, si sarebbe delineata come una volontà reale, e non come un trucco economico teso ad acquisire il controllo e la proprietà degli stati desovranizzati europei e dei loro territori svenduti a corporazioni e privati.
Ce lo ripete direttamente Monti in una conferenza alla Bocconi del 2011.
"I passi in avanti sono per definizione cessioni di parti
di sovranità nazionale a un livello comunitario" ovvero all'Europa.
Sicuri che questi passi tecnici in avanti, ( Stalin e Hitler avevano lo stesso
progetto, un unico grande superstato europeo ), siano la soluzione ai problemi
creati dalla stessa tecnocrazia che ha piazzati arbitrariamente nel nostro
paese?
Esattori tecnici, che sono stati insediati al potere da grandi corporazioni, senza passare per elezione democratica, e che attuano misure e procedure a mezzo decreto, rese immediate attraverso un esecutivo prevaricante, saltando quei meccanismi stessi che garantiscono l’equilibrio interno fra le funzioni del potere interne allo Stato.
Forzare gli equilibri di autocontrollo fra il potere legislativo, il potere esecutivo e il potere giudiziario, non può che produrre derive autoritaristiche lontane dal modello democratico, specialmente quando si agisce dall’esterno dello Stato sovrano, imponendo decisioni prestabilite prive di opzione. Si assiste oggi di fatto in barba al conflitto di interesse, all’interferenza necessaria e non sufficiente, legittimata dal tentativo di risolvere la crisi da parte di alcuni tecnocrati, di membri attivi della Sinarchia Trilaterale, che allo stesso tempo stanno ricoprendo funzione governativa in aperta ingerenza con la costituzione Italiana, la volontà popolare, quella politica e la ragione.
Se andassimo a leggere la costituzione Europea ci renderemmo immediatamente conto di quanto ingannevole sia quella carta, imprecisa e vaga circa la traduzione, il senso e l’uso di concetti derivati direttamente o correlati al Diritto Romano, quello Napoleonico, la Common Law ed il Reichstag. Fare di tutta l’erba un fascio, è stata infatti qui la migliore politica di delegittimazione delle costituzioni nazionali Europee, come della riduzione di Sovranità degli stati, a favore di qualcosa che non è né carne, né pesce.
Rispetto, dignità e misure equilibrate ed armoniche, non soggette ai mercati illusori della finanza, ma basate sull’economia reale, sono perequisito necessario e fondamentale all’unificazione dei popoli Europei, da considerarsi come biodiversità culturali da unificare in sinergia, senza appiattire in modo disergico le loro monete, la loro storia, la loro identità e diversità precipue, o cancellandone le Sovranità Nazionali. Percorrere la via del mal comune che porta al mezzo gaudio, non risulta che essere la peggiore politica possibile per affrontare questo progetto, su basi puramente economico-affaristiche, e non sull’integrazione, la valorizzazione e la comprensione che solo attraverso la tolleranza e il rispetto, si può unire quanto è diverso per natura, non arbitrariamente, ma consapevolmente e senza ingerenze tali da cancellare le stesse particolarità che fanno di un luogo quello che è.
La distruzione mirata di tali memorie, corrotte a fini di controllo globale attraverso una Governance che intende sostituirsi ai Governi di queste nazioni, è un gioco di prestigio, come lo sono quelli sul concetto di libero mercato, quando esso di fatto non si basa più sulle regole delle nazioni, ma indica in realtà un concetto fondato propriamente sul segreto bancario, libero da controlli di sorta, dei rapporti economici fra i potentati, da individuare a scelta, fra Multinazionali, Lobby, Corporazioni e gli Ordini ( Religiosi, Militari e Massonici ), che possono cosi destreggiarsi abilmente in contesti, luoghi e maniere, che si trovano ben al di là della legalità, delle leggi in vigore, e dell’etica.
Obsoleto ed anacronistico infatti risulta essere oggi l’impatto e il tentativo vano di controllare o mitigare i danni di quei mercati finanziari che fondati sull’aleatorietà e la volatilità dell’illusione del debito, intese come potere e controllo attraverso il ricatto, crollano miseramente e conducono alla rovina tutti coloro i quali vi si affidano ciecamente.
Per mitigare danni che nascono nel futuro corrotto di certi percorsi che il passato neppure si sognava, è necessario quindi contestualizzare, attualizzare e correggere lo stesso paradigma occulto delle immunità, intoccabilità e completa elusione fiscale e doganale, da parte di alcuni soggetti, che regolano il gioco dall’esterno.
Vorrei ribadire che qui nessuno è fesso od è escluso, ed che è tempo che costoro che si reputano e definiscono “eletti”, tornino ad essere padri degni e che il loro operato venga stimato, vagliato e considerato secondo i parametri della giusta condotta responsabile e del buon operato, poiché secondo la teoria dei vasi comunicanti, un debito di 12 volte maggiore rispetto alla ricchezza reale del mondo, non è che un indice del grado di schiavitù e di infelicità che abbiamo raggiunta, nonché un parametro chiaro che dimostra in modo evidente, come attraverso lo sfruttamento dei popoli a fini personali ed egoistici, si coltivi l’infelicità di tutti, attraverso la semplice malia del numero. L’accettazione dell’erronea concezione che il valore attribuito e illusorio valga qualcosa nel mondo reale, ha condotto alcuni ad un utilizzo erroneo dei numeri e delle quantità fittizie, che in verità non risultano essere altro che “malia”. Comprendere l’errore, prendere coscienza e correggerlo, è il nostro compito.
Dobbiamo renderci conto che è interesse della sinarchia, ricattare quei governi che non vogliono farsi governare, per obbligarli a rendere quanto non hanno, esigendolo dai popoli che non hanno, e che inevitabilmente, se si oltrepassa la misura, si rivolteranno, facendoli ancora cadere. Ciò significa semplicemente che comunque vadano le cose, gli stessi stati sovrani che si trovano oggi sotto doppio scacco, non potranno risolvere la loro impasse a meno di non mutare radicalmente atteggiamento, prendersi le proprie responsabilità per impugnare saldamente quel timone che tutto ci dice sulla direzione del naviglio. Fretta non giova. Sappiate rinunciare al superfluo, al fittizio e all’inutile, per raggiungere l’essenza delle cose, fondata sul loro valore reale. Ponderare bene, ragionare meglio e lavorare sodo, senza cadere vittime degli incanti, degli inganni e degli affari, che sempre nascondo un difetto: quello di essere esche.
Amonakur
Tratto da un lavoro di JOHN ARLIDGE dal Sunday Times e da
vari articoli sull’argomento, da Wikipedia, e spiegato, elaborato e farcito di
considerazioni critiche esplicativi a puro fine conoscitivo e didattico.
Titolo originale della prima parte: "I'm doing 'God's work'. Meet Mr Goldman
Sachs ". Si ringraziano gli autori e se ne riconosce il lavoro. Free Creative
Commons Work, basato sul concetto altruistico del “raccogli, migliora e dona”,
al servizio dell’umanità.